Francesco e Bartolomeo per la pace in Medioriente

Alla preghiera in Vaticano che domenica 8 giugno riunirà il papa, Shimon Peres e Abu Mazen, parteciperà anche il patriarca di Costantinopoli, perché l’invito a costruire un futuro pacifico interpella tutti a disarmare il cuore e a scegliere la via della non violenza
Il papa e Bartolomeo I

Nel suo viaggio in Terra Santa il papa ha invitato in modo solenne Shimon Peres e Abu Mazen a recarsi in Vaticano per pregare per la pace, per invocare la pace.

Un gesto di straordinaria mitezza e forza profetica. Non un gesto politico, ma un gesto capace di rinnovare la politica, perché sorto come risposta alle domande dei piccoli…

Il vescovo di Roma, il presidente dell’autorità palestinese e il presidente della Repubblica di Israele, tre storie e tre personalità molto diverse, ma tutti, in modo diverso, chiamati a costruire la pace, a spezzare il giogo delle armi e della violenza in Terra Santa, a sperimentare che è più fecondo ciò che unisce piuttosto che quello che divide, ad ascoltare il grido muto delle vittime piuttosto che la retorica delle vuote parole.

Il vescovo di Roma non si è fermato a discutere i torti e le ragioni di ciascuno, ma ha chiamato ciascuno a uscire dai suoi recinti per disarmare i cuori, per intraprendere il sentiero di Isaia, per trasformare lo sguardo di ciascuno sulla Terra Santa, per imitare lo sguardo di Dio su quella terra.

Questo vale per Shimon Peres, chiamato a condurre Israele sulla via della sicurezza, basata soprattutto sulla cura dei piccoli palestinesi.

E vale per Abu Mazen, chiamato a scegliere in modo netto e radicale, come presidente di tutti i palestinesi, la via della pace e della non violenza, la via della resistenza dello Spirito piuttosto che quella delle armi.

Altrettanto vale per i cristiani, chiamati a rendere credibili e concrete in quella terra le parole della riconciliazione, del perdono, della fraternità e del dialogo. Questa è l’incessante missione dei discepoli dell’unico Signore.

Una settimana fa, commentando il viaggio, e l’invito a Peres e ad Abu Mazen, il papa diceva: «Ho invitato il presidente di Israele e il presidente della Palestina (il papa parla sorprendentemente e coraggiosamente dei presidenti dei due Stati, ndr), ambedue uomini di pace e artefici di pace, a venire in Vaticano a pregare con me per la pace. E per favore, chiedo a voi di non lasciarci soli, pregate tanto perché il Signore ci dia la pace, ci dia la pace in quella terra benedetta! Conto sulle vostre preghiere. Forte, pregate, in questo tempo. Pregate tanto perché venga la pace».

A questo invito fortissimo e drammatico ha risposto il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo. Anche lui sarà presente. Il papa e questi due grandi anziani non saranno lasciati soli.

La preghiera dell’unità di tutti i cristiani si trasfigura nella preghiera per la pace in tutte le terre, in particolare nella terra di Gesù. Anzi, la pace e l’unità diventano il segno di quella riconciliazione che tutti attendiamo e invochiamo ogni giorno, soprattutto là dove il conflitto è estremo.

Il papa a Betlemme ci ha dato la misura di questa riconciliazione e perdono. La misura sono i bambini palestinesi, i bambini che hanno diritto alla cura, allo studio, al futuro, alla dignità nella loro vita…

La preghiera si compirà alla fine del giorno di Pentecoste e lo spirito della pace, che non segue la logica del mondo, ma si rivela nei piccoli, anche nel più piccolo dei nostri fratelli, scenderà come unzione di pace su tutta la Terra Santa.

Nella preghiera ciascuno confesserà quello che non ha fatto per la cura dei bambini. Ciascuno riconoscerà le sue responsabilità di fronte al dolore e alle ferite dei piccoli, perché curare i bambini è guarire dall’odio, dalla malattia delle malattie, che è armare i cuori invece di disarmarli, che vuol dire alzare il muro dell’inimicizia invece di frantumarlo. Questo è il nuovo ecumenismo della pace.

Da questa grande preghiera di uomini di pace, il vescovo di Roma, il patriarca di Costantinopoli, i due presidenti, non possono non nascere azioni di condivisione, di cooperazione, di cura. Davanti all’unico Dio ci si impegni a curare gratuitamente i bambini palestinesi, feriti nel cuore e nella vita. Si convochi la comunità internazionale, perché tutto questo avvenga efficacemente.

Il tempo si è fatto davvero breve e i bambini palestinesi indicano la strada. La indicano ai cristiani come via di perdono e di riconciliazione, la indicano ai grandi politici perché finalmente si impari l’arte della pace.

Esistono già progetti che rendono operativa questa visione. L’arcobaleno, con i colori della pace, unisca i due popoli e i due Stati nella giustizia e nel diritto, nel dialogo e nell’incontro. Allora davvero Gerusalemme diventerà la città della pace e i bambini, in cielo e in terra, canteranno la pace, da Betlemme fino alle periferie del mondo.

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