L’inizio è sfolgorante. La prima tavola – la Deposizione di Santa Trinita, da poco restaurata (1430-1432) -, apre la rassegna con uno splendore paradisiaco. La primavera perenne di colori trasparenti, la luce cristallina, i cangiantismi raffinati, le ombre colorate ci trasportano in un incantesimo di bellezza pura. Il dolore – siamo in una Deposizione – non turba la serenità dei discepoli, l’armonia del corpo del Cristo, Maria che lo attende in ginocchio, Maddalena che ne bacia i piedi, gli astanti che contemplano la corona di spine, fra i quali il giovane di casa Strozzi, committenti della tavola. E Gerusalemme, lontana e altissima tra quei cieli azzurri e limpidi da cui impareranno Piero della Francesca, Raffaello e addirittura Michelangelo. Nel prato fiorito che si allarga in prospettiva perfetta come le mura cittadine, i corpi sono veri, ma trasfigurati, i sentimenti misurati: è il rinascimento dell’Angelico, che supera le cuspidi gotiche della pala, opera di Lorenzo Monaco.

Beato Angelico, Deposizione, foto Ufficio Stampa Fondazione Palazzo Strozzi
Frate Giovanni da Fiesole, detto Beato Angelico, porta l’umano soavemente in cielo e il cielo in terra con la naturalezza di chi vive nella dimensione della contemplazione della vita e della storia e ce la presenta come luce.
La vasta Pala di San Marco (1438 – 1442), fresca di restauro, è solenne e pacificatrice. La Vergine siede su di un trono classico, il giardino sullo sfondo (“Hortus conclusus”, simbolo di castità, ma anche dei giardini dei conventi), il gruppo dei santi in pensosa conversazione, i due santi Cosma e Damiano (protettori d i casa Medici che ha commissionato il dipinto) in primo piano, e poi i dettagli del tappeto, dei festoni. Sopra tutto, quei volti avvolti da una lucentezza pacata che li rende bellissimi, e ci comunicano una lentezza di sentimento e un clima di quiete. La pala, smembrata durante le soppressioni napoleoniche, oggi raduna per la prima volta diversi “pezzi” dispersi in vari musei del mondo. Fra tutti emerge la predella con la Deposizione nel sepolcro – meglio, l’Ostensione del Crocifisso -, da Monaco, che ispirò i fiamminghi di stanza a Firenze con l’aura di commozione in Maria e Giovanni che baciano le mani del Morto nella sera, con amore tenerissimo e composto.

Beato Angelico, Annunciazione (foto ufficio stampa fondazione Palazzo Strozzi)
Fra le sezioni che raccontano la vita e il percorso artistico da Firenze a Roma, passando per Cortona e Orvieto, spicca quella più nota, ossia le Annunciazioni. Si spazia dal tabernacolo per Santa Maria Novella fra drappi regali con Dio-Cristo in rosso, alla aristocrazia di quella a Cortona sotto una loggia alla Michelozzo, a quella rinascimentale nel Tabernacolo degli Argenti e poi ai due sublimi affreschi nel convento di san Marco: la prima Annunciazione davanti ad un giardino meraviglioso, la seconda nel luminoso candore di una cella con Maria, fantasma di bellezza rosea. Poste a confronto con altre opere contemporanee di Rossellino, Della Robbia, Filippo Lippi, esse emanano la freschezza di una impaginazione spaziale ordinata e di una luminosità che riverbera in chi le osserva il fascino di una armonia divina che fa stare bene.
Un capitolo particolare è formato dalle immagini dei santi, per Angelico uomini e donne pieni di equilibrio sereno. Uno per tutti: nella Testa sagomata di Francesco d’Assisi (1427-1430) il pittore ottiene, grazie alla levità delle ombre, ai marroni e rossi accennati, il ritratto umano e spirituale del santo, colto nell’estasi amorosa, ma con misura. Infatti i santi dell’Angelico sono nella beatitudine, composta però e dolcemente vicina a noi, come accade nel convento di san Marco nella meravigliosa Madonna delle ombre: una conversazione intima di personaggi intorno a quel Cristo-bambino che ci trafora con gli occhi nella luce della notte lunare. Tornano allora le opere con la Madonna e il Bambino nei confronti – o meglio, nel dialogo- con quelle dei contemporanei: Andrea Della Robbia, Rossellino, Benozzo Gozzoli, Filippo Lippi, il Filarete, il Ghirlandaio. Opere eccellenti, diverse tuttavia per il clima spirituale e la sottigliezza psicologica.
Certo, la visita a questa rassegna ricca di documenti storici ed artistici porta a completarsi con un passaggio al Convento di San Marco, cui abbiamo già accennato, che godeva del patronato dei Medici. L’arte di frate Giovanni si fa qui corale e personale, libera da ogni fasto, nuda bellezza, luce assoluta. Pittura essenziale, dai cangiantismi raffinatissimi come nella Incoronazione di Maria, gialli bianchi e verdi delicati fra sguardi pieni di amore.
Come l’amore per la natura, nei suoi dettagli più belli, che Angelico sempre esprime sino ad un dettaglio di assoluto incanto: i peschi in fiore nella scena del Getsemani nell’Armadio degli Argenti. La poesia che trasfigura in bellezza anche un momento doloroso.
C’è un tondo del periodo maturo del pittore, piccolo e sublime. È l’Incoronazione di Maria (1440-1450). Un tondo del diametro di cm. 18, 2, minimo: è in questa dimensione limitata che il pittore fa esplodere un cielo blu tempestato di rossi serafini, dentro un sole irraggiante su Cristo e Maria. Un capolavoro. Viene da pensare ai versi danteschi sul Paradiso: “che solo amore e luce ha per confine”.
Forse sta qui il segreto della poesia rinascimentale e non solo di frate Giovanni da Fiesole, il più grande pittore della pace.
Beato Angelico, Firenze, Palazzo Strozzi e Museo di San Marco. Fino al 25.1 (catalogo Marsilio Arte-Palazzo Strozzi).