Filippo il Bello

Figura chiave nella storia dei Templari, il re di Francia organizzò un complotto contro papa Bonifacio VIII che coinvolse anche l’Ordine dei Templari. Il racconto nelle pagine de Gli ultimi giorni dei Templari, di Mario Dal Bello
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È alto e biondo, ha la barba e i capelli dorati come la corona che porta in capo, e sulle spalle gli scivola con eleganza il manto azzurro ricamato con i gigli d’oro di Francia. È giovane, forte, risoluto. La gente adora il suo re “bello”. Si affolla fuori del palazzo del Louvre quando esce, energico e dinamico in mezzo alla schiera di cortigiani, a caccia col falcone, dirigendosi verso la foresta di Fontainebleau, al castello dov’è nato; lo osserva quando prega nella Sainte-Chapelle, illuminato dal sole che filtra dalle vetrate multicolori, con le mani giunte, insieme alla moglie, la dolce regina Giovanna. I due sono sposati da una ventina d’anni, si amano molto.

Lei gli ha dato quattro figli, oltre alla dote: la Navarra e la Champagne, che hanno ampliato il regno. Nella preghiera, lui, molto devoto, sta diritto avvolto nel blu; lei, un poco più china, il capo coperto da una cuffia di raso bianco, con l’abito lunghissimo foderato d’ermellino.

Sono immagini di splendore. Fanno la gioia degli occhi del popolo. Ma il re non è sempre sereno. E nemmeno sempre così luminoso come appare. Sa essere duro, la sua collera fredda suscita lo spavento in chi gli sta intorno.

L’Anno Santo è passato e la lotta con papa Bonifacio è ripresa. Filippo si è rivolto contro l’arcivescovo di Pamiers, Bernard Saisset, che ha criticato i suoi continui interventi contro i diritti del clero. È chiaro che il re vuole una Chiesa docile ai suoi interessi, ma il vescovo, un carattere forte, non si è piegato. E il re l’ha fatto arrestare. Le accuse? Le solite, per i nemici del re: eresia, tradimento, sedizione.

Bonifacio è intervenuto: spetta a lui giudicare i vescovi. Il re non ha ceduto e la contesa si è inasprita nei mesi successivi.

«Fuori della Chiesa – e quindi dell’obbedienza al papa che ne è il capo – non c’è salvezza!», ha scritto il pontefice in un documento che ha girato tutta l’Europa, intitolato Unam sanctam. Idee non nuove, ma dette in quel momento e con il tono perentorio di Bonifacio, urtano Filippo. Se non si sottomette al papa, rischia la scomunica. Filippo cerca consiglio presso i suoi avvocati. Guglielmo di Nogaret è un borghese. Capelli scuri sotto il berretto corto, la lunga veste da giurista, ha lo sguardo da faina e l’ambizione di chi non conosce scrupoli. Ha una religiosità fanatica: può diventare molto pericoloso. È lui l’occhio e l’orecchio del re. Consiglia a Filippo di convocare i rappresentanti della nazione per esporre i problemi del regno. Il re l’ascolta. È astuto, sa nascondere bene le sue mosse dietro i suggerimenti dei suoi  consiglieri.

Nella reggia del Louvre, il 12 marzo 1303, sotto le volte ampie e la luce che penetra dai finestroni, il re siede in trono, avvolto dal manto, il volto cereo e la bocca sdegnosa.

Un’immagine di impassibilità. La regina è rimasta fra le dame, nelle sue stanze, insieme alla figlia Isabella: le donne non si devono interessare di politica. Accanto al re i figli maschi Filippo e Carlo, e Luigi, l’erede, un ragazzo difficile. Anche i cavalieri del Tempio sono presenti, insieme ai nobili e al clero: la loro sede, con una doppia torre massiccia e una cinta merlata, domina un intero quartiere della città, chiamato la Ville Neuve du Temple. C’è il Visitatore d’Occidente, frate Hugues de Pérraud. Silenzioso, scruta attentamente l’assemblea, gli occhi mobili nel volto impassibile.

Intorno al re, i consiglieri più fidati.

Nobili ed ecclesiastici siedono in due file, l’una di fronte all’altra: i nobili fieri con i loro cappelli piumati e le spade dall’elsa d’avorio, il clero con le lunghe cappe violacee. Tutti lo sanno: le cose fra il papa e il re vanno così male che si è alla guerra, delle parole e dei documenti, per ora. Filippo, è noto, non vuole nessuno sopra di sé. Il papa, questo papa, è un osso duro. «Un uomo del genere non cambierà mai», pensa il re riguardo a Bonifacio. Perciò va eliminato, in qualsiasi modo. Così il re va all’attacco, radunando una sorta di suo concilio.

Nel silenzio generale, il re parla delle sue preoccupazioni per l’indipendenza del regno. «Da quando è pontefice Bonifacio – dice con calma fredda – la libertà di Francia è minacciata dai suoi continui interventi nelle questioni della politica interna. Questo papa si fa uguale a Cristo!».

Il re fa un cenno. Nogaret si alza dal suo posto, e inizia con voce tonante la lista delle accuse contro Bonifacio: dall’abdicazione forzata di Celestino, alla “persecuzione” dei cardinali Jacopo e Pietro Colonna, dall’amore eccessivo per i suoi parenti, i Caetani, alla protezione di prelati francesi ostili al sovrano… L’elenco è lungo e l’accusa di Nogaret prende molto tempo. «Egli si fa chiamare Bonifacio, ma in verità è malefico sotto ogni aspetto», è la conclusione ad effetto, molto calcolata, del giurista.

Il discorso scende, freddo come una lama, sull’assemblea. I cavalieri hanno ascoltato. Forse qualcuno pensa che il re, alla fine, cerchi un pretesto per prendersi i beni della Chiesa, dato che è senza soldi a causa della guerra contro gli inglesi.

Nogaret però non ha finito. Re Filippo non ha bisogno del papa per governare il suo regno. Il primo re di Francia, Clodoveo, non è stato forse consacrato dallo Spirito Santo sceso dal cielo sopra di lui? È una devota leggenda, ovviamente, ma al re e ai suoi giuristi fa molto comodo, ora. Perciò, Filippo è sovrano nel suo regno. Per di più questo pontefice, Bonifacio, è illegittimo.

Così si propone che venga convocato un concilio generale per giudicarlo e, se è necessario, deporlo e procedere a una nuova elezione.

Re Filippo non deve forse pensare, come cristiano sincero, al bene della Chiesa universale?, conclude il giurista con sottile astuzia. Il discorso è stato molto violento. Il re non è intervenuto. Ma certo Nogaret deve avergli letto nel pensiero per poter usare parole tanto dure. La gente commenta a bassa voce. Il brusio è rotto dall’ordine per tutti di firmare l’atto di convocazione di un concilio per il processo al pontefice.

I Templari sono perplessi. Dipendono esclusivamente dal papa, non da Filippo, sono legati a Bonifacio dall’obbedienza: qualche anno prima gli hanno persino dato una somma favolosa.

Frate Hugues de Pérraud si alza, e anziché uscire dalla sala – come forse qualche collega si aspetta – si mette in fila insieme a vescovi, abati, dotti e nobili per porre il suo nome sotto il documento per il processo contro Bonifacio. Firmerà come Visitatore del Tempio in Francia. Lo deve fare per forza, per evitare rappresaglie contro l’Ordine.

È però il segno di una spaccatura del Tempio ai suoi vertici: l’atto non è stato infatti concordato con il Gran Maestro. De Molay, che è a Cipro, ignora che Hugues in segreto si è già messo sotto la protezione del re insieme alla sua famiglia. Un’azione che lacera il codice d’onore dei Templari, il loro giuramento di solidarietà reciproca, di obbedienza assoluta ai superiori.

È chiaro: re Filippo, o meglio Nogaret, ha trovato una via per minare dall’interno la forza dell’Ordine, che è il codice di unità. Non sarà – pensa qualche cavaliere – la prima mossa per prendersi anche i beni dell’Ordine?

Filippo intanto, ritornato a palazzo, continua con il gruppo di giuristi a tessere la rete per eliminare dalla scena papa Bonifacio.

 

Mario Dal Bello, Gli ultimi giorni dei Templari, Città Nuova, 2013. Per acquista il volume clicca qui.

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