Le industrie degli armamenti non possono essere limitate nella loro competitività sui mercati internazionali dalle regole previste nella legge 185 approvata nel 1990. La Camera si appresta perciò il 17 febbraio 2025, dopo la discussione in commissione del 7 febbraio, a svuotare di efficacia questa normativa approvata sotto la spinta di una parte della società civile organizzata. Non parliamo dei cosiddetti radical chic che si limitano alle petizioni on line, ma ad esempio di lavoratori disposti a farsi mettere in cassa integrazione e poi fuori dall’azienda perché si rifiutavano di costruire armi destinate a regimi oppressivi.
Un ruolo decisivo per arrivare a quella legge lo hanno svolto quella particolare ambasciata del nostro Paese nel mondo costituita da Emergency di Gino Strada e da numerosi religiosi e religiose missionarie sparsi sul pianeta che hanno girato l’Italia per mostrare i pezzi di ordigni made in Italy trovati sul terreno dopo il loro efficace uso sulla popolazione civile.
Una capacità di indignazione capace di non restare sterile lamentela, ma di incidere sulle scelte politiche che contano, dando attuazione alla Costituzione nella sua interezza e non solo all’articolo 11 che declama il ripudio della guerra da parte della Repubblica, usando cioè un termine che rimanda alla rottura di un profondo, intimo e storico rapporto con la logica bellica che non è riducibile solo all’esaltazione dell’epoca fascista.
La legge in questione è prettamente “riformista”, non ha decretato il divieto assoluto di fabbricazione di armi, ma ha definito alcuni limiti limite alla loro produzione ed esportazione, in diretta conseguenza della definizione di attività economica posta nell’articolo 41 della Costituzione dove anche l’impresa privata, e quindi ancor di più quella pubblica, deve perseguire finalità che non siano in contrasto con l’utilità sociale o recare danno alla libertà, sicurezza e dignità umana.
Di fatto la normativa, introdotta per superare il segreto di stato imposto sull’intero settore della Difesa, è stata boicottata politicamente in maniera trasversale perché, ad esempio, non si è data attuazione al previsto Fondo per la riconversione industriale e, inoltre, le imprese controllate dal capitale pubblico hanno perseguito la finalità di concentrarsi sul settore bellico dismettendo attività importanti e di avanguardia in altri campi come ad esempio quella dei trasporti ferroviari.
L’aggiramento della legge è avvenuto poi in tanti modi. Le relazioni annuali sull’export di armi sono state sempre meno comprensibili, anche se poi l’elevata competenza di analisti come Giorgio Beretta di Opal hanno permesso di ricostruire il progressivo aumento dei livelli di esportazione italiana verso i Paesi extra Nato, mentre si è rivelata decisiva nella relazione la trasparenza sulle istituzioni bancarie collegate alle imprese di armi. Un dato che ha permesso di lanciare la campagna di pressione per dirottare i conti correnti di singoli, associazioni e istituzioni verso banche “non armate”.
Con la riforma che si vuole approvare sarà impossibile avere tali informazioni sulle “banche armate”, un termine che è stato fortemente criticato ad esempio da Giuseppe Cossiga, presidente di Aiad, l’ associazione delle aziende della Difesa e dello Spazio che è tra i maggiori sostenitori dello svuotamento di fatto di una normativa che ha avuto una recente applicazione di grande rilievo.
È stato possibile cioè fermare l’invio di migliaia di missili e bombe verso l’Arabia Saudita grazie al ricorso fatto da associazioni e movimenti in ragione dell’utilizzo di tali ordigni da parte dell’aviazione saudita nel conflitto in Yemen. La decisione di sospendere nel 2019 e poi revocare nel 2020 l’autorizzazione all’esportazione di tali strumenti da parte della società Rwm Italia è stata presa durante il primo e secondo governo Conte in base alla votazione avvenuta in Parlamento. Precedenti tentativi erano andati a vuoto durante il governo Gentiloni.
Sulla necessità, invece, di sviluppare il nostro rapporto di fornitura di armi verso l’Arabia Saudita, si è spesa in maniera aperta e trasparente una vasta coalizione che vede in prima fila l’Aiad come dimostra la presentazione nel 2018, presso la sala stampa della Camera, con la partecipazione dell’allora presidente di Aiad, Guido Crosetto, di un report del Centro Studi Machiavelli che invitava a saper cogliere le opportunità offerte da un Paese alleato dell’Occidente e sempre più lanciato dalla monarchia saudita verso la modernità grazie al progetto Saudi 2030. Un attore sempre più strategico sul piano degli investimenti, paragonabile ad un nuovo Rinascimento secondo il senatore ed ex premier Renzi, non solo nel settore degli armamenti dove compare costantemente tra i maggiori acquirenti, come dimostra il successo della fiera biennale World Defense Show che si è tenuta nel febbraio 2024.
Siamo arrivati così al 31 maggio 2023, con un comunicato del governo Meloni sul made in Italy, alla revoca del divieto di esportazione di sistemi d’arma verso l’Arabia Saudita per l’attenuazione del rischio del loro utilizzo contro la popolazione civile dello Yemen. Una decisione gradita dalla tedesca Rheinmetall, che controlla la Rwm Italia e sta sviluppando progetti di intensa collaborazione con la società italiana Leonardo. La multinazionale tedesca può far valere il forte incremento della sua attività che beneficia della decisione del governo socialdemocratico tedesco di Olaf Scholz di procedere ad un deciso programma di riarmo.
Ma è con la visita lampo in Arabia Saudita compiuta il 26 gennaio 2025 dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che si è palesato il progetto di «elevare il livello della nostra collaborazione al partenariato strategico» su alcune «materie prioritarie», cioè Difesa ed Energia. Tra le partite più importanti si rileva l’auspicata partecipazione dei sauditi alla vera sfida del futuro costituita dal caccia di sesta generazione, Gcap, che vede l’Italia impegnata assieme a Giappone e Gran Bretagna.

ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI- FILLIPPO ATTILI
Tali partner industriali, con attori esterni all’Unione europea, rendono palesi le difficoltà della costruzione di una Difesa europea che permetterebbe oltre ad una maggiore efficienza e risparmio di spesa, anche il rispetto di regole in linea con la legge 185/90 che vieta di trasferire armi a Stati che violano i diritti umani e/o sono impegnati in guerre fuori dal perimetro dell’Onu.
È in questo quadro che si deve leggere il forte appello lanciato più volte e ora reiterato, alla vigilia del voto parlamentare, da 5 realtà nazionali dell’associazionismo cattolico a sostegno della campagna di pressione per la difesa della Legge 185/90 condotto da Rete italiana pace disarmo. Si tratta, come per l’appello per la messa al bando delle armi nucleari promosso da oltre 40 tra associazioni e movimenti, di far crescere una l’impegno diretto su questioni che sono state finora rimosse dalla consapevolezza generale pur davanti allo scenario della guerra mondiale a pezzi che ci riguarda sempre più da vicino.
Si tratta di recuperare tanto tempo perduto in questi anni in cui si è tollerato l’indifferentismo etico verso l’aumento progressivo dell’esportazione di armi dall’Italia seguendo il ragionamento che “se non le vendiamo noi le armi, altri lo faranno al nostro posto”, come viene ripetuto anche nelle sedi istituzionali.
L’appello dei presidenti delle associazioni è rivolto alla coscienza dei singoli parlamentari invitandoli a non seguire ordini di scuderia. Proprio alla vigilia del voto che rimuove la garanzia della legge 185/90, si è svolto a Roma il giubileo delle Forze armate in cui papa Francesco ha invitato i cappellani militari a «vigilare contro la tentazione di coltivare uno spirito di guerra», e a chi svolge il servizio armato «ad esercitarlo solo per legittima difesa, mai per imporre il dominio su altre nazioni, sempre osservando le convenzioni internazionali in materia di conflitti e, prima ancora, nel sacro rispetto della vita e del creato».
Il rispetto della vita e dignità umana che è al cuore della Costituzione repubblicana e della legge 185/90 che ha cercato di metterlo in pratica in questi anni.
Qui il testo dell’appello di Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Azione Cattolica, Acli, Agesci, Movimento dei Focolari Italia e Pax Christi.
Qui le proposte migliorative della legge 185/90 avanzate da Rete italiana pace e disarmo