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Italia > Ripensare il pensiero politico

Europa sotto attacco, che fare? Intervista a Pier Vigilio Dastoli

a cura di Silvio Minnetti

- Fonte: Città Nuova

Sotto tensione tra le strategie di Usa e Russia, in che modo l’Unione Europea può ritrovare la strada dell’originario progetto di Ventotene? Il parere del presidente del Movimento Europeo Italia, storico collaboratore di Altiero Spinelli

L’Unione Europea è sotto attacco da più parti in un clima di nazionalismi ed imperialismi risorgenti. Abbiamo perciò chiesto il parere a Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento Europeo. Il Movimento Europeo Italia è stato fondato una prima volta nel 1948 e poi nuovamente nel 1956 come sezione italiana del Mouvement Européen. Vuole essere «espressione di tutte le forze democratiche – partiti, sindacati e associazioni – impegnate nel nostro Paese per il conseguimento dell’unità europea, intesa secondo il messaggio di Ventotene che ispirò la resistenza e quale federazione fra tutti gli Stati europei a regime democratico che possano e vogliano aderirvi in piena parità di diritti e di doveri».

Pier Virgilio Dastoli insegna Diritto internazionale nell’Università per stranieri di Reggio Calabria ed è stato assistente parlamentare di Altiero Spinelli e direttore della Rappresentanza della Commissione europea in Italia.

 

Professor Dastoli, cosa ritiene urgente fare per salvare il progetto federalista?

Il progetto di integrazione europea – immaginato da culture ispirate all’universalismo cristiano, all’internazionalismo socialista e al cosmopolitismo liberale – ha permesso a popoli e Stati europei di vivere in pace e di gettare le basi di una comunità di diritto. Esse non sono state tuttavia capaci di portarne a compimento la finalità federale perché una parte dell’universalismo cristiano ha scelto la via della finanza capitalista al posto della finanza etica, il socialismo si è cullato nell’illusione delle dimensioni di politiche nazionali e il liberalismo si è adattato ad un modello economico in cui le regole vengono decise dal mercato. La mancanza di risposte adeguate ha creato così spazi ai nazionalismi presenti su tutto il Continente attratti dalle autocrazie e dagli imperialismi crescenti nel mondo.

Per dare risposte adeguate è necessario un piano sulle politiche del welfare, della convergenza ecologica, dell’inclusione dei nuovi cittadini europei, di una politica fiscale equa, di un’economia sociale di mercato fondata su una sussidiarietà sostenibile e di una difesa dell’Europa come strumento della politica estera al servizio della pace avviando contemporaneamente un processo costituente in vista delle elezioni europee nella primavera del 2029 al fine di dotare l’Unione di una costituzione da sottoporre ad un referendum pan-europeo affinché essa entri in vigore fra gli Stati e i popoli che lo vorranno.

Perché Altiero Spinelli può essere considerato un vero padre fondatore dell’Unione Europea, capace di intuire ed ispirare con lungimiranza in un continente lacerato dalle guerre?

Nell’ambito delle diverse culture europee Altiero Spinelli – avendo abbandonato poco più che trentenne l’ideologia comunista – intuì che le democrazie avrebbero prevalso sui totalitarismi nazifascisti e stalinisti ma che esse sarebbero state fragili se non avessero superato le concezioni complementari della difesa delle sovranità assolute (rex est imperator in regno suo) come problema mondiale e della divisione in Stati-nazione come problema europeo.

Chiara Lubich ha dato vita a Insieme per l’Europa con centinaia di movimenti e associazioni cristiane, per dare un’anima all’Europa. Perché l’aspetto spirituale e quello culturale sono fondamentali, accanto al processo di integrazione politica, economica e istituzionale, per costruire una Europa unita, forte e plurale?

Occorre dare un’anima al progetto federale che non può essere fondato solo su istituzioni ancorché formalmente rappresentative, sull’economia ancorché fondata sulla solidarietà, sul mercato ancorché sostenibile e sulla difesa ancorché al servizio della pace, ma su una vera società europea. Jacques Delors lanciò nel 1993 “un’anima per l’Europa” come spazio pubblico di dialogo fra le religioni e gli umanisti dissoltosi dopo pochi anni. Il Movimento Europeo ha rilanciato quel progetto e accoglierebbe con entusiasmo l’idea di farne una iniziativa comune coinvolgendo la rete di “Insieme per l’Europa” con altre reti e creando un’unica piattaforma ispirata all’idea di una Heimat europea per superare o compensare la matrice conservatrice e nazionalista della patria o Vaterland e riacquistando una memoria collettiva europea per guardare in avanti verso un futuro diverso.

Quale importanza può avere il Codice per una Europa unita elaborato, anche con il suo contributo, in vista di una Camaldoli europea? 

Di fronte al sonno delle istituzioni e all’incapacità dei partiti europei di contribuire alla formazione della coscienza delle cittadine e dei cittadini europei (art. 10 TUE), il Codice rappresenta una pietra importante nell’embrionale mosaico europeo di movimenti che, per molti anni, sono stati sostanzialmente limitati alla cultura federalista. Di fronte alla “strategia nazionalista” di Donald Trump, alla guida di una alleanza del conservatorismo internazionale, bisogna unire le forze definendo un progetto, un metodo e un’agenda in vista delle elezioni europee del 2029 non per entrare nei palazzi delle istituzioni ma per difendere la democrazia europea in statu nascendi.

In che cosa si differenzia la visione di De Gasperi con quella di Spinelli e che posizione aveva Spinelli nei confronti della CED, Comunità europea di difesa?

Pur ispirati da culture diverse, Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli condivisero l’idea che al mercato comune dell’acciaio e del carbone occorreva far seguire un salto verso l’unità politica di quella parte dell’Europa occidentale che aveva scelto il modello della democrazia liberale e da qui nacque la convergenza sul tema di una difesa europea al cui interno collocare la questione della ricostituzione dell’esercito della Germania occidentale. Questa convergenza si concretizzò nella presentazione da parte di De Gasperi di un memorandum, ispirato dallo stesso Spinelli, agli alleati europei della CECA in cui si proponeva di affidare alla Assemblea della CECA il mandato di redigere lo statuto di una Comunità politica al cui interno avrebbe dovuto essere collocato il sistema di difesa europea come avvenne con l’art. 38 del futuro progetto di Trattato della Comunità Europea di difesa (CED). Spinelli era convinto che gli Stati avrebbero dovuto accettare una vera cessione di sovranità in senso federale, che il mandato all’Assemblea della CECA doveva essere pieno e non sottoposto ad un futuro negoziato intergovernativo, che la ratifica del Trattato sulla Comunità politica doveva precedere quella della CED e che l’esercito europeo dovesse sostituire gli eserciti nazionali.

Le sembra una strada possibile da percorrere per una politica di difesa europea? Questa dovrebbe essere un pilastro di quella della Nato oppure avere una sua autonomia discendente da una politica estera condivisa? 

Occorre una nuova CED da creare in parallelo all’Unione Europea, come già avvenne con gli accordi di Schengen per la soppressione dei controlli alle frontiere interne negoziati e conclusi al di fuori delle allora Comunità europee tra il 1985 e il 1999. L’elemento fondamentale nella creazione di un “laboratorio” in materia di difesa da negoziare parallelamente all’Unione Europea è il riconoscimento della sua strumentalità rispetto ad una politica estera e di sicurezza comune che deve condurre ad una difesa comune.

In questa prospettiva sarebbe perfettamente logico prevedere l’utilizzazione anche delle istituzioni dell’Unione Europea compresa la Corte di Giustizia e prevedere un suo articolo “42.7” per una solidarietà comune e conformemente all’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite simile a quello del Trattato sull’Unione Europea all’interno del quale inserire anche il contributo di paesi terzi come il Regno Unito o la stessa Ucraina. Le sue attività di difesa, di deterrenza e di peace enforcement dovrebbero nascere in modo vincolante dalla nuova CED con il corollario imprescindibile che le decisioni militari non potranno essere lasciate alla responsabilità dei capi di Stato maggiore ma ad un organo politico sotto un controllo democratico europeo con un bilancio sovranazionale e non la somma di bilanci nazionali superando i vincoli della unanimità e in un sistema di sovranità condivisa.

Cosa ne pensa del Piano di riarmo predisposto da von der Leyen e dell’obiettivo del 5% del Pil concordato in sede della Nato?  

Da quanto ho esposto, è evidente che la via dei riarmi nazionali proposti dalla Commissione europea, al di fuori dei suoi poteri e delle sue competenze, collide con l’idea di una nuova CED così come l’aumento ipotetico del 5% del PIL dei bilanci nazionali con spese che non garantirebbero l’interoperabilità delle forze armate europee e la nostra autonomia strategica.

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