Sono appena finite le feste. Vorrei chiederti: quale tipo di albero di Natale ha un minor impatto ambientale, quello vero o quello finto? Cecilia
L'Esperto risponde > Ambiente
Un albero simbolo della vita
di Elena Pace
Bella domanda! E ti rispondo subito senza troppi giri di parole: quello vero purché abbia le radici. In un articolo recente del giornale on line Il post viene spiegato bene il perché di questa scelta e tra il resto viene ribadito che «gli alberi finti, di plastica e metallo, causano emissioni di anidride carbonica – il principale gas serra – nell’atmosfera, sia quando vengono prodotti che quando vengono trasportati, cosa che spesso avviene per lunghe distanze, dato che molti alberi sono prodotti in Cina. Al contrario gli alberi veri, soprattutto se sono cresciuti poco lontano da casa, assorbono anidride carbonica, invece che emetterla».
Inoltre viene messo in evidenza che, se hanno le radici possono essere ripiantati (anche nel vivaio stesso in cui si sono acquistati). Ovviamente nel caso in cui si possieda già un albero finto, la scelta più ecologica è utilizzarlo finché dura.
Ma è davvero così significativa questa tradizione da non potervi rinunciare? E in che modo si ricollega alla nascita di Gesù? Giovanni Paolo II lo ha spiegato molto bene nel saluto rivolto, durante l’Angelus del 19 dicembre 2004, ai 32 ragazzi superstiti della scuola di Beslan: «Accanto al presepe troviamo il tradizionale albero di Natale. Un’usanza anch’essa antica, che esalta il valore della vita perché nella stagione invernale, l’abete sempre verde diviene segno della vita che non muore. Di solito sull’albero e ai suoi piedi vengono posti i doni natalizi. Il simbolo diventa così eloquente anche in senso tipicamente cristiano: richiama alla mente l’albero della vita (Cfr. Gn 2,9), figura di Cristo, supremo dono di Dio all’umanità (…) Il messaggio dell’albero di Natale è pertanto che la vita resta “sempre verde” se si fa dono: non tanto di cose materiali, ma di sé stessi: nell’amicizia e nell’affetto sincero, nell’aiuto fraterno e nel perdono, nel tempo condiviso e nell’ascolto reciproco».
È troppo bella questa tradizione per rinunciarvi. L’importante è tornare all’essenziale.
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