Eremiti a Monte Stella

Testimonianze millenarie di fede nella vallata bizantina dello Stilaro. la Cattolica di Stilo e il monastero di San Giovanni Therestìs di Bivongi. Maria Egiziaca e l'eremitismo femminile. La Via lucis
Monte Stella

La discesa, tramite una rampa di 62 gradini, nell’ampia cavità che si sprofonda nelle pendici del Coccumella o Monte Stella, nel territorio di Pazzano, può far venire in mente sia il grembo materno (e quindi la nascita naturale), sia l’immersione dei catecumeni nella vasca battesimale (e quindi la rinascita spirituale). La seconda immagine, mentre c’inoltriamo nella rigenerante frescura della grotta, ci viene suggerita da don Enzo Chiodo, rettore di quest’eremo rupestre intitolato a Santa Maria di Monte Stella: uno dei quattordici santuari mariani della Locride, nel cuore di questa Vallata dello Stilaro che custodisce anche la Cattolica di Stilo e il monastero di San Giovanni Therestìs di Bivongi. Sarà lui, don Enzo, a farci da guida e a illustrarcene storia e peculiarità.

 

«In grotte eremitiche come questa (ne sono state individuate finora una trentina sui crinali e fra le boscaglie della Vallata) si stabilirono mille e trecento anni or sono, per sfuggire alle lotte iconoclaste scatenate dall’imperatore bizantino, i primi anacoreti e monaci: provenivano da Grecia, Siria, Palestina, Egitto e anche Sicilia. Per circa due secoli vissero in contemplazione e nella più severa ascesi. Bastavano loro un riparo nella roccia, un giaciglio, uno stipetto nel quale custodire il Salterio, che recitavano quotidianamente, qualche icona e manoscritto di contenuto spirituale. Si nutrivano di ciò che offriva spontaneamente il luogo o di quanto coltivavano. Vivevano isolati, ma periodicamente, specie nelle solennità liturgiche, si riunivano per pregare e celebrare l’Eucaristia in una grotta più ampia adattata a oratorio o cappella».

 

Ovunque, lungo la consunta rampa di discesa e sulle pareti rocciose, un incredibile sovrapporsi di graffiti e scritte testimonia l’afflusso secolare dei pellegrini in quest’eremo-santuario. Sarebbe interessante scoprire date, provenienze e identità di personaggi sconosciuti o anche noti, e forse qualche studioso ha già provveduto a questa ricerca.

 

Non di rado gli eremi scoperti conservano ancora tracce di affreschi: costituivano parte integrante degli esercizi di pietà dei monaci. E questo di Monte Stella non fa eccezione. Ora che siamo giunti al fondo della spaccatura, don Enzo attira la nostra attenzione sulla parete sinistra, dove due affreschi sovrapposti lasciano intravedere nelle lacune dello strato superiore qualcosa di quello inferiore. Ben quattro le raffigurazioni: la SS. Trinità o Trono di Pietà (Dio Padre che offre il Figlio in croce e ha sulla barba la colomba dello Spirito Santo), l’arcangelo Michele vittorioso sul dragone, l’Adorazione dei pastori e la Pietà. Quanto alla datazione, si va dal Trecento al Cinquecento.

 

Ma l’affresco più antico, a cavallo tra il X e l’XI secolo, è quello che domina dall’alto il centro della grotta: vi è rappresentata la comunione-conversione di Maria Egiziaca, la santa eremita che visse nel deserto vestita da uomo per scontare un passato di peccato, cui il monaco Zosimo porge l’Eucaristia con un cucchiaio, secondo l’uso orientale: una iconografia piuttosto rara, questa che vede i sue santi raffigurati insieme. «Testimonierebbe la presenza su questo Monte – precisa don Enzo –  di un eremitismo femminile, mentre uno maschile si sarebbe affermato sull’altro della Vallata, il Consolino.

 

Il secolo XVI segna, in Calabria, il trapasso dal rito greco a quello latino. Ne consegue la sostituzione, sul Monte Stella, dell’antica icona mariana bizantina con una statua della Vergine di scuola siciliana, forse un discepolo del Gagini. In una nicchia della grotta, sopra un altare barocco in marmo locale, il suo candore immacolato attira gli sguardi. L’anonimo artista l’ha raffigurata in preghiera, rivolta verso l’alto. Si tratta di una statua cosiddetta di “mezzo”, che mette insieme l’immacolatezza e l’assunzione. Alla base è un rilievo con l’Annunciazione dell’angelo a Maria.

 

«Come vedete – spiega don Enzo – è incinta come la Donna dell’Apocalisse. Dove c’era lei, il diavolo – che sempre insidiava i rifugi degli antichi anacoreti – doveva sloggiare. Ecco il motivo per cui in grotte come questa non mancava mai una effigie dell’arcangelo Michele: spettava a lui scacciare il demonio.  Questa immagine mariana è molto venerata dai fedeli che giungono qui, specie da quanti desiderano un figlio. E non sono pochi i matrimoni celebrati in questo luogo da aprile a ottobre: oggi stesso aspetto altri due sposi». Un’analoga bella raffigurazione di Maria, dipinta su tela però, la troveremo salendo al conventino e alla settecentesca chiesetta superiore: è questa che nella notte fra il 14 e il 15 agosto i fedeli saliti fin quassù porteranno in processione prima della messa presenziata dal vescovo locale e della successiva veglia.

 

Uscendo dalla grotta-santuario attraverso l’ingresso originario dell’eremo, percorriamo il tratto panoramico che conduce al complesso monastico: siamo a circa settecento metri sul livello del mare, e lo sguardo spazia liberamente dalla valle sottostante, che alterna tratti quasi aridi a zone boschive o coltivate ad ulivo, alla striscia azzurra dello Jonio. Fiancheggiano il campestre sentiero le stazioni di una moderna Via Lucis con icone in stile orientale, realizzate a ricordo dell’Anno della Fede. Icone “scritte” da un laboratorio diocesano di suore. L’opera, voluta da mons. Giuseppe Fiorini Morosini e dal rettore,  vuol comunicare a tutti la rivoluzione operata da Cristo nella risurrezione, nel contesto di un Sud che a volte fatica a guardare con speranza al futuro. «Chi visita il santuario – commenta don Enzo – è invitato ad intraprendere la “via della luce”, abbandonando le tenebre del peccato. Nella notte del 5 agosto di ogni anno viviamo insieme ai monaci ortodossi presenti in Vallata la veglia della Trasfigurazione, anticipo della Pasqua e detta appunto “Pasqua estiva” dal mondo orientale. Non a caso Pazzano, ai piedi di questo Monte, continua la festa di Gesù salvatore e trasfigurato, segno di un passato segnato dall’Oriente cristiano».

 

Qui, dove sono completamente assenti i rumori che accompagnano la vita frenetica delle città, chi ha animo contemplativo o è semplicemente interessato ad una passeggiata naturalistica può godersi il canto assordante delle cicale, il sibilo del vento e perfino i colori di particolari orchidee.  

 

Incastonata nel conventino che tra breve accoglierà anche una eremita, emula di quelli antichi, è la primitiva cappella riscoperta nel 2008: oggi custodisce l’icona della Dormitio Virginis o della Kimesis proveniente dall’Athos e donata dal patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli per i pellegrini di rito orientale, dopo la sua visita al santuario nel marzo 2001.

 

Nel partire da questi luoghi ci accompagna la toccante preghiera alla Madonna della Stella, composta dall’allora vescovo di Locri-Gerace mons. Giancarlo Bregantini: dopo aver accennato alla grotta «immagine del grembo della vita», termina con una invocazione alla Vergine dell’Unità, che su questo Monte ha «raccolto da sempre le preghiere e le speranze dei nostri fratelli cristiani di Occidente e d’Oriente».

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