Erdogan vince le elezioni presidenziali in Turchia

Non senza polemiche, l'attuale primo ministro è diventato capo dello Stato. Ora ci si attende una riforma che gli conceda maggiori poteri. Luci e ombre del contestato leader turco
Recep Tayyip Erdogan e sua moglie Emine Erdogan

La Turchia si è recata al voto per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Già poche ore dopo la chiusura dei seggi ha preso forma, come largamente previsto, la vittoria dell’attuale primo ministro Recep Tayyip Erdoğan. Non sarà necessario nemmeno l’eventuale ballottaggio previsto per il 24 agosto. 

Erdoğan, infatti, nonostante le notizie siano ancora non ufficiali, ha riportato il 51,6 per cento delle preferenze popolari. Si tratta di una tappa storica nella democrazia turca. Per la prima volta, infatti, dopo la rivoluzione di Kemal Ataturk negli anni venti del secolo scorso, i turchi hanno eletto direttamente il loro capo dello stato. Il processo è stato caratterizzato da ostacoli di diverso tipo ed ha messo in evidenza le criticità della gestione dell’attuale governo guidato daErdoğan, che ora cambia poltrona e lo fa con il consenso popolare, come lui stesso da tempo desiderava, ma non senza molte ombre. Pur dato per sicuro vincente nella corsa alla presidenza della Repubblica, è stato criticato da più parti e per una svariata serie di motivi.

La decisione di votare direttamente con suffragio popolare per il nuovo capo dello stato era stata approvata con il 68 per cento di voti favorevoli in un referendum svoltosi nell’aprile del 2007. Il progetto di legge era stato proposto da Mumcu, al tempo leader del Motherland Party (ANAVATAN) ed era stato accettato anche dall’AK Party. Tuttavia, in occasione di questo primo esercizio elettorale con la nuova formula, organismi nazionali ed internazionali hanno puntato il dito su procedure definite non democratiche nel corso della campagna e della sua organizzazione.

Un primo aspetto problematico, questo legato al sistema, viene dal fatto che un candidato per essere nominato deve dimostrare di avere l’appoggio di almeno 20 deputati, oltre ad avere almeno quarant’anni di età ed una laurea da una istituzione riconosciuta di grado superiore. Esponenti del mondo politico hanno sottolineato che per una consultazione a suffragio popolare anche la nomina potrebbe venire con procedure non all’interno del Parlamento, ma attraverso la raccolta di un numero adeguato di firme da parte dei cittadini. Mustafa Kamalak, che guida il Felicity Party (SP), oltre ad essere un esperto di diritto costituzionale, ha dichiarato in una intervista rilasciata ad un quotidiano turco apparso domenica, che per poter affermare che un presidente sia veramente eletto con voto popolare i cittadini e le organizzazioni sociali dovrebbero vedere riconosciuti i propri diritti. Negarli è inaccettabile per una società che si vuole definire democratica.

Al centro delle altre critiche, tuttavia, è stato proprio il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan, ora diventato presidente. In primo luogo, gli è stato contestato il fatto che la procedura di accettazione delle nomine, la pubblicazione delle liste e l’inizio della campagna elettorale hanno lasciato un tempo molto limitato ai candidati per poter arrivare a presentare ad una fascia di cittadini più vasta possibile i loro programmi. La cosa è andata a svantaggio dei candidati meno noti. Recep Tayyip Erdoğan, come primo ministro, e uomo forte della Turchia nell’ultimo decennio, non ha senza dubbio avuto bisogno di farsi vedere e conoscere.

A fronte della notorietà nazionale ed internazionale di Erdoğan la figura di Ekmeleddin İhsanoğlu, suo diretto concorrente, era senza altro poco conosciuta in Turchia. Il candidato dell’opposizione, che ha messo insieme il CHP, erede del kemalismo laico, ed il partito degli ultranazionalisti turchi del MHP, è stato presidente dell'Organizzazione islamica mondiale, ma è alquanto nuovo ai giochi della politica del suo Paese. Fra l’altro, nel corso della campagna elettorale, è stato accusato da Erdogan di non essere neanche turco, in quanto nato da genitori turchi in Egitto. Altre accuse all’attuale primo ministro, sono arrivate per il sospetto uso delle risorse dello stato per la sua campagna presidenziale. È stata, poi, evidente la sua tendenza ad usare momenti istituzionali, a cui ha presenziato come primo ministro in carica, per lanciare i suoi slogan elettorali.

Nonostante tutto questo ed i problemi che ha avuto negli ultimi due anni con contestazioni aperte e spesso violente come quelle di Gezi Park ad Istanbul, il verdetto era da sempre scontato. La corsa alla presidenza non è stata fermata nemmeno dalle molteplici accuse di corruzione rivolte alla famiglia e a lui stesso personalmente. Al contrario, il programma elettorale del primo ministro pare essere stato quello di scagliarsi, nei vari comizi, proprio contro coloro da cui erano partite queste accuse. In questo senso si deve leggere anche l’arresto di magistrati, agenti e ufficiali di polizia, oltre che di giornalisti – si parla di quaranta mila persone in tutto – che hanno cercato di portare allo scoperto la corruzione creatasi durante la gestione dell’Akp, di cui Erdoğan è il capo indiscusso.

Il linguaggio di Erdoğan è stato messo sotto accusa da più parti perchè crudo ed inopportuno, con la chiara tendenza a polarizzare la piazza fra i suoi sostenitori ed il resto della Turchia. Si è presentato anche come musulmano sunnita, criticando gli altri candidati sulla base della loro affiliazione etnico-religiosa: Kemal Kılıçdaroğlu è alevita e Selahattin Demirtaş, il terzo candidato che non dovrebbe aver superato l’8 per cento dei voti, è filo-curdo. Non ha mancato, poi, di offendere durante i suoi comizi armeni e georgiani.

Ora parte il progetto ‘Nuova Turchia’, come il neo-eletto presidente ha definito più volte la prospettiva per il futuro del Paese. “Lasciamoci alle spalle la vecchia Turchia – ha detto nel suo ultimo comizio a Koyna -. La politica della polarizzazione, della divisione e della paura è ormai scaduta”. Il primo punto che tutti si attendono è una riforma che assicuri maggiori poteri alla carica presidenziale.

Sul tavolo del nuovo capo dello stato non mancano le questioni anche delicate. Dovrà, infatti, tener conto della geografia dell’elettorato che lo ha portato alla carica di presidente. La maggioranza dei voti della costa meridionale ed occidentale, da Antalya a Smirne fino a Istanbul, sono infatti andati al candidato dell’opposizione, Kemal Kılıçdaroğlu, e quella del sud est al candidato filo curdo. Erdoğan ha, invece dominato in tutta l’Anatolia. Un altro elemento che costituisce un nodo chiave per il futuro del Paese è la sua ‘laicità’, voluta ed imposta da Ataturk e difesa a più riprese dall’esercito. Essa appare ormai un ricordo del passato.

La moglie del nuovo presidente si è sempre mostrata in pubblico velata ed Erdoğan stesso, appena confermata la vittoria, si è recato a pregare nella moschea Eyup Sultan di Istanbul. Il gesto da parte di un neo-eletto capo dello stato ha un forte valore simbolico. È la prima volta che accade da quando Ataturk impose ‘lo stato laico’ e, inoltre, la moschea ha un significato particolare: è stata costruita per volontà di Maometto II, che conquistò Costantinopoli. È in questa moschea che pregavano i sultani prima di assumere il potere. Una mossa che ben si addice a Erdoğan, che osservatori politici ed avversari hanno più volte ribattezzato il nuovo sultano di Turchia. 

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