Ercole è tornato a casa

A Villa Giulia una mostra di preziosi reperti trafugati e restituiti all’Italia. L’avventuroso viaggio di un bronzetto
Museo nazionale etrusco di Villa Giulia

L’occasione è veramente unica: il Museo Etrusco di Villa Giulia espone per la prima volta tra le sue ricchissime collezioni, fino al 15 dicembre, alcuni materiali archeologici, spesso veri capolavori, scelti tra i circa tremila reperti ceramici e bronzei, per la maggior parte di provenienza italiana, sequestrati nel 1995 dai carabinieri della Tutela patrimonio culturale al porto franco di Ginevra e restituiti allo Stato italiano dopo una lunga battaglia legale. Con l’ausilio di immagini e documenti tratti dal sequestro, la mostra I predatori dell’arte e il patrimonio ritrovato ripercorre il lungo e avventuroso viaggio compiuto dagli oggetti recuperati, esaminando le rotte del traffico illecito che consentivano, subito dopo gli scavi clandestini, l’immediato trasferimento degli oggetti dall’Italia alla Svizzera, prima importante tappa di un percorso finalizzato probabilmente a incrementare le raccolte dei più noti musei del mondo.

Vengono inoltre rivelati i sistemi di “ripulitura” e di certificazione di “legittima provenienza” dei singoli oggetti. Sono storie appassionanti di recuperi che ci fanno conoscere e apprezzare quale intenso lavoro sia stato compiuto in questi anni da magistratura, carabinieri, guardia di finanza e archeologi della Soprintendenza, lavoro a cui ha corrisposto un significativo calo degli scavi clandestini nelle aree archeologiche di Cerveteri, Vulci e Tarquinia, un tempo oggetto di vere e proprie razzie. Va pure sottolineato che Villa Giulia ospita ormai stabilmente alcuni preziosi reperti restituiti di recente da musei stranieri, come quella meraviglia rappresentata dal Cratere di Euphronios (fine del VI sec. a C.), trafugato a Cerveteri e proveniente dal Metropolitan Museum of Art di New York.

La mia attenzione è stata attratta anche da un oggetto meno appariscente che rischia di passare inosservato, accanto a tanti capolavori di arte etrusca e italica: la vetrina in cui è esposto si trova in una piccola sala accanto a quella magnifica della Collezione Castellani, una delle raccolte più prestigiose al mondo di oreficeria antica. Il pezzo in questione, di forse quindici centimetri a occhio, è un bronzetto raffigurante Ercole nudo, che impugna con la destra la clava e regge sul braccio sinistro la “leonté”, ossia la pelle del leone Nemeo da lui ucciso in una delle sue molteplici “fatiche”. Dalla tabella accanto vengo a sapere che è stato restituito nell’estate del 2009 dai coniugi Harding in vacanza in Italia dalla Florida. Una loro lettera al Museo racconta la sua storia, non meno avventurosa dei reperti che ho potuto ammirare.

Nel 1966 Sharon e John Harding videro per la prima volta il bronzetto in mostra nella libreria dei loro vicini di casa e, incuriositi, chiesero notizie sulla sua provenienza. «Nel lontano 1943 – scrivono – il comandante di un mercantile della Marina americana, che trasportava viveri e medicine per le forze alleate, ma anche per la popolazione civile allo stremo dopo l’occupazione tedesca, incontrò un uomo anziano, disperato perché suo nipote era ferito e aveva una grave infezione. Il cibo scarseggiava, i medicinali erano introvabili ed il vecchio propose al comandante uno scambio: cibo e medicine in cambio di un bronzetto raffigurante il dio Ercole. Il comandante accettò, ma nell’atto dello scambio cercò di convincere il vecchio a tenere l’oggetto: l’uomo fu irremovibile e affidò il bronzetto al comandante, certo di lasciarlo in mani sicure. Durante il viaggio di ritorno il mercantile fu più volte attaccato dalla Marina tedesca e fu anche colpito dal siluro di un sottomarino, ma la statuina rimase indenne. Nel 1948 il comandante lasciò la Marina, ebbe successo negli affari e mise su famiglia; visse in Nebraska, Connecticut, New York e infine si stabilì in Florida con la moglie: il bronzetto di Ercole viaggiò sempre con loro, occupando in ogni casa il suo posto d’onore nella loro libreria».

Dopo di che, i due vicini di casa confidarono agli Harding il desiderio di voler restituire il bronzetto ad un museo italiano, ma il tempo passò, il comandante morì e la moglie, gravemente malata, affidò a loro la statuina, per realizzare quello che non erano riusciti a fare. La lettera di Sharon e John Harding si conclude così: «Ora il bronzetto raffigurante Ercole è tornato a casain Italia, da dove proviene. Ha vissuto molte avventure ed ha viaggiato lontano per 66 anni, dal momento in cui fu portato via dal suo Paese d’origine. Ora potrà essere ammirato e goduto da chiunque lo vedrà nel museo; ma in particolare noi speriamo che i bambini italiani, che hanno ereditato un meraviglioso patrimonio di cultura e arte dai loro avi, lo apprezzino e lo mostrino ai loro figli con immenso orgoglio».

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