È un documentario bidirezionale, oltreché ben fatto e piuttosto doloroso, quello che va in onda domani sera, 13 ottobre, in prima serata su Rai 3. È prodotto da Movieheart in collaborazione con Rai documentari ed è dedicato ad Enzo Tortora: giornalista, politico e soprattutto popolare e indimenticabile conduttore televisivo, padre del fondamentale “Portobello“, uno dei programmi più importanti, sorgivi, fertili, iconici, nella storia della televisione italiana.
Ma non è solo metatelevisione, quella offerta domani sera dal documentario Enzo Tortora – Ho voglia di immaginarmi altrove, diretto da Tommaso Cennamo. Perché parlare di questo personaggio (e di questa persona) significa inevitabilmente entrare nel tema delicato, e appunto doloroso, della malagiustizia. Tutti (i meno giovani) ricordano certamente quel 17 giugno del 1983 (quest’anno sono 4 decenni) in cui Tortora fu arrestato con l’accusa di associazione camorristica e traffico di droga. Oltre l’eleganza del personaggio, perciò, oltre le caratteristiche del suo costruire televisione (ma anche radio e brillanti articoli di giornale), oltre il suo carattere di uomo colto e libero, spigliato, indipendente e acutamente pensatore, il documentario attraversa questa pagina cupa, e purtroppo lunga (quindi devastante) nella vita di un uomo prima di tutto per bene, come si intitolava un film per la TV su di lui, diretto da Maurizio Zaccaro nel 1999.

Il presentatore televisivo Enzo Tortora, sorridente con le mani in tasca, studia con un collega in radio il programma della trasmissione. Firenze (Italia), 1962. SPECIAL FEE – Archivio Rai
A ricucire la bravura, la ricchezza, in qualche modo la scomodità, e poi la tanto assurda quanto drammatica vicenda giudiziaria di Enzo Tortora, intervengono un numero cospicuo di testimonianze: da Francesca Scopelliti, sua ex compagna e presidente della Fondazione Enzo Tortora, a Emma Bonino; dai giornalisti Vittorio Feltri, Riccardo Bocca, Paolo Gambescia, Massimo Bernardini e Giorgia Iovane (di TV Blog), a Vittorio Pezzuto, anche lui giornalista e biografo di Tortora. Ci sono poi l’avvocato Raffaele Della Valle, tra gli altri, Amadeus e Giancarlo De Cataldo, Francesco Rutelli e Ricky Tognazzi, Giovanni Negri e Vito Catalano, nipote di Leonardo Sciascia, che di Tortora fu estimatore e che da subito, dopo il tristemente spettacolare arresto di quest’ultimo, si schierò per la sua innocenza.
Tutti insieme riescono nel (non semplice) compito di legare la storia del costume italiano, per sua natura leggera, solare (con quello che “Portobello” ha rappresentato, e prima di lui “Campanile Sera” e “La domenica sportiva” nel modo in cui Tortora modellò), con l’ingiustizia che il presentatore fu costretto a vivere. Questa seconda linea, anche se intrecciata alla prima in modo intelligente e approfondito, ha un posto centrale, dominante, nel racconto, che diventa anche riflessione sul tema della giustizia stessa: su quanto sia qualcosa di delicato che pretende il massimo della serietà e della meticolosità, su come sia un terreno vitale per l’uomo, e quindi necessiti di un lavoro profondo e di un’etica accurata e sconfinata. Con Tortora accadde un contrario che viene bene spiegato nei 90 minuti di Ho voglia di immaginarmi altrove, tra repertori e appunto le voci degli intervistati.
Si assiste a un viaggio fatto di luci gradevoli, rilassanti, e di improvvisi e duraturi bui, di inquietanti abissi; di un pubblico e un privato violentati da superficialità ed egoismo, di un’Italia lieve e nostalgica falcidiata da una più cupa e lugubre provocata dalle falsità di gente senza scrupoli, assecondate da mediocrità e inadeguatezze. In mezzo a queste due Italie c’è quella dell’opinione pubblica, della divisione tra innocentisti e colpevolisti, ed anche qui il documentario offre le sue interessanti riflessioni, inquadrando il caso Tortora nel suo tempo storico, senza trascurare le importanti sfumature del personaggio: dalla sua passione per la lettura alle idee sulla televisione stessa, dall’autonomia professionale basata esclusivamente sulle sue capacità, fino ai sentimenti dolorosi espressi mediante interviste. Fino a quel “dove eravamo rimasti” sospirato ai suoi cari, amati e ancora copiosi telespettatori, quando, a verità accertata, tornò a condurre Portobello.
Era il 20 febbraio del 1987, e quella sera, dopo un lungo applauso, mise insieme come sempre parole toccanti: di ringraziamento per chi aveva pregato per lui e di pensiero per chi stesse vivendo quello che aveva subito lui. Fu importante tornare ma molte, troppe cose, per lui, erano ormai dolorosamente cambiate.

Il conduttore televisivo e politico italiano Enzo Tortora (Enzo Claudio Marcello Tortora) siede davanti a una macchina da scrivere nella sua abitazione. Milano, febbraio 1985. Foto: Archivio Rai
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