È un amico, lavora da sempre nell’ambito della solidarietà, sia nel pubblico che nel privato. Ci eravamo incontrati in Siria, a Damasco dove risiede, nel 2018, e poi ancora una volta in Libano nel 2020. Mi sollecita di nuovo per far sapere all’opinione pubblica che l’embargo decretato dagli Stati Uniti e da altri governi contro il suo Paese sta provocando danni irreparabili alla vita di tanti, troppi siriani. Trascrivo il suo racconto, senza tanti commenti, perché la perniciosità degli embarghi generalizzati, che colpiscono tutti i cittadini e non solo personaggi particolari, ormai è provata: si vogliono evidentemente colpire i governi nemici, ma nello stesso tempo si colpiscono soprattutto i più poveri, talvolta con lo scopo nascosto di voler aizzare le folle perché siano loro stesse a scalzare i potenti dai loro troni. Operazioni rischiosissime e che molto raramente arrivano a buon fine. Il più delle volte le popolazioni civili vengono tramortite dagli embarghi generalizzati.
Ecco, allora il racconto di A.B., operatore umanitario a Damasco: «Nonostante il nemico pubblico n° 1 siano gli Stati Uniti, il dollaro è la moneta corrente più usata in Siria, visto che la moneta siriana non è stabile, viene continuamente svalutata e quindi la gente non vuole detenerla. I pochi dollari rimasti, quelli che non sono trattenuti dal governo per le emergenze, sono estremamente cari, circa 3500 lire siriane per dollaro, quando prima della guerra il suo valore non raggiungeva le 50 lire. Lo stipendio normale di un siriano raggiunge i 25 dollari, raramente è superiore. Vi lascio immaginare che cosa si possa fare con quei 25 dollari, sapendo che i prezzi comunque salgono di continuo. E sapendo che il principale canale di arrivo di dollari è quel Libano nel quale, con la gravissima crisi economica attuale, il dollaro è praticamente scomparso».
Entriamo nei dettagli: «Per vivere, una famiglia ha bisogno di poco meno di 300 dollari. Dove li prende, allora, se i suoi salari giungo a un decimo del denaro necessario alla sopravvivenza? Gran parte delle famiglie si sono smembrate: chi ha potuto emigrare nei Paesi occidentali, in particolare, ma anche in altri Paesi arabi come la Giordania e il Libano, sostiene economicamente dall’estero le persone della propria famiglia, cercando di far arrivare nei modi più fantasiosi le banconote qui in Siria, visto che le banche non possono farlo. Emigrare per tanti è diventato un modo obbligato per sopravvivere e far sopravvivere i propri cari, visto che i combattimenti continuano al nord, visto che l’embargo continua ad essere rigoroso e visto non si scorgono all’orizzonte cambiamenti politici tal da far pensare che le cose miglioreranno».
Anche A.B. poteva espatriare, in Canada, aveva agganci sufficienti per ottenere il visto di Ottawa. «Ma io mi rifiuto di lasciare il mio popolo, continuo a sperare che il meglio possa accadere e, soprattutto, non voglio abbandonare la gente che più soffre. Ormai mancano medicinali, il latte in polvere costa cifre spropositate, nelle famiglie non si decide più che cosa comprare, ma di quanto diminuire i propri consumi, cercando di far bastare il poco denaro che resta. C’è poca roba nei negozi, soprattutto prodotti siriani, spesso di qualità estremamente scarsa, anche perché le imprese non possono importare nulla o quasi, non solo per i blocchi doganali ma ancor più per la mancanza di valuta estera che permetterebbe loro di accedere ai mercati paralleli. Fa impressione oggi vedere la magrezza dei siriani: l’obesità, che prima della guerra cominciava a essere un problema di salute pubblica, ora è totalmente scomparsa. Da noi si muore di nuovo per malnutrizione. Centinaia di persone muoiono per malattie determinate dalla scarsa e cattiva alimentazione».
Il Covid ha fatto grossi danni nel 2021, anche se non si è mai potuta sapere la reale incidenza della pandemia sulle popolazioni locali, vista la mancanza di strumenti idonei al controllo e la penuria di test adeguati. I vaccini sono ancora pochissimi, il 2% scarso della popolazione li avrebbe ricevuti. «I giovani sono coloro che più cercano di uscire dal Paese. E a ragione. Con l’Ong per la quale lavoro, abbiamo costatato che almeno una metà degli studenti universitari ha dovuto rinunciare ai propri studi, per via della cronica mancanza di soldi, che vengono dirottati dagli “inutili” studi alle consumazioni più “utili”, cioè cibo ed energia. Anche le Ong fanno estrema fatica a sopravvivere, sia perché l’embargo colpisce anche queste organizzazioni caritative, sia perché il personale più qualificato prima o poi se ne va».
Questi sono alcuni effetti dell’embargo in Siria, nel 2021.
Per chi volesse dare il proprio contributo per alleviare le mancanze della popolazione siriana, può rivolgersi all’AMU.