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Elezioni regionali in prospettiva nazionale, si comincia dalle Marche e Valle d’Aosta

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Da settembre a novembre verranno aperte le urne in più Regioni per oltre 15 milioni di elettori. Un test importate con l’occhio alle alleanze possibili in vista di una possibile nuova legge elettorale nazionale

Allestimento dei seggi elettorali in una scuola ANSA/STRINGER

L’apertura delle urne resta ancora l’unico metodo reale per capire la reale consistenza dei sondaggi che compaiono ciclicamente sui media, orientando in qualche modo il consenso di quella parte di cittadinanza che a votare ci va ancora.

Il flusso elettorale resta incerto anche per le Regionali che avranno una prima sessione nelle Marche e Valle d’Aosta il 28 e 29 settembre, per poi continuare il 5 e 6 ottobre in Calabria e il 23 e 24 novembre in Toscana, Veneto, Puglia e Campania.

Anche se relativamente lontana, la scadenza di riferimento è sempre quella delle elezioni nazionali del 2027 che probabilmente verranno precedute da una riforma della legge elettorale approvata entro l’autunno 2026. Serve la maggioranza parlamentare per far passare le nuove regole di un sistema proporzionale con premio di maggioranza di coalizione. Sarebbero così superate le anomalie dell’attuale legge Rosatellum, per arrivare ad un modello simile a quello tedesco, considerato garanzia di stabilità e di rappresentanza, pur in un momento in cui in Germania cresce il fenomeno del partito di estrema destra (Afd) con venature eversive.

L’adozione della legge elettorale sarà decisiva poi per definire la maggioranza che deciderà chi succederà al Quirinale al posto di Mattarella che finora ha garantito l’unità del Paese. La prospettiva del possibile ritorno al proporzionale, che FdI intende declinare con successivi passaggi verso il premierato, spiega l’orientamento delle alleanze definite in vista delle imminenti elezioni regionali tra collaborazione e competizione esistenti all’interno dello stesso schieramento.

Nell’ambito del centro sinistra si riscontra una crescente sintonia tra il Pd di Schlein e i 5Stelle, guidati da un Conte libero dal condizionamento di Grillo, con il concorso di Alleanza Verdi Sinistra. La segretaria dem che ha ereditato un partito spaccato e pieno di debiti, con i dipendenti finora in parte in cassa integrazione, ma ancora vitale e attivo in alcuni territori. Alcuni strateghi, soprattutto dell’ex Pci come ad esempio Bettini, consigliano, evidentemente in vista del proporzionale, l’aggregazione di un partito tipo la Margherita2 per raccogliere consensi alla coalizione da parte di una componente di centro più visibile. Ma è difficile mettere insieme ad esempio il polo civico solidale promosso da Demos con Tarquinio, che ha pochissimo da spartire con Azione e Italia Viva che in alcune elezioni locali hanno sostenuto il centro destra. È un’operazione che non può compiere il promesso federatore Enrico Ruffini, promotore dei comitati “Più uno” per «dare un contributo al campo progressista». Esistono culture politiche che non possono essere costrette al binomio dal nome antiquato di conservatori e progressisti.

Probabilmente è l’identità dem che merita di essere ridefinita, dato che resta tuttora  il quarto partito per consensi raccolti tra gli operai dopo la svolta liberal imposta nel congresso del Lingotto del 2007 per esprimere una pretesa  vocazione maggioritaria nel Paese. Lo schieramento deciso della Schlein a favore del referendum, impossibile da vincere, promosso dalla Cgil, gli ha alienato una parte consistente dei quadri del partito, pronti a chiedere un congresso di chiarimento in caso di fallimento nelle elezioni regionali.

Nel campo del centro destra è invece il partito di Meloni ad esprimere una chiara vocazione maggioritaria in un universo conservatore che va oltre l’appartenenza all’internazionale Maga di Trump, ponendosi saldamente nell’orizzonte atlantista come ha confermato la piena intesa del governo di destra con la presidenza Usa di Biden. L’unione di sigle di Noi Moderati che ancora espone tra gli altri lo storico simbolo della Dc, viene citata nei pastoni della cronaca politica ma attrae consensi intorno all’1% potendo mandare eletti in Parlamento solo attraverso lo spazio dell’uninominale offerto da FdI. Ogni tornata elettorale conferma la crescita di Fratelli d’Italia, nonostante la sorprendente resistenza di Forza Italia che contende la percentuale di consensi alla Lega di Salvini che per un certo tempo sembrava aver occupato la caratura nazionale dell’attuale FdI.

I candidati alla presidenza della regione Marche. Prima fila, da sinistra Francesco Acquaroli, Francesco Gerardi e Matteo Ricci; seconda fila da sinistra Claudio Bolletta, Beatrice Marinelli e Lidia Mangani. ANSA/NPK

Il successo del partito di Meloni nelle Marche con l’attuale presidente uscente Francesco Acquaroli, che si ripresenta in competizione con il candidato di centro sinistra Matteo Ricci, è un esempio eloquente di un consenso tra gli elettori considerati moderati anche da parte di un esponente cresciuto nel Fronte della Gioventù. In un territorio che ha visto la crisi delle grandi imprese tipo la Merloni, ceduta via via a diverse multinazionali, anche il tessuto delle imprese familiari legate al settore dell’abbigliamento riscontra i segni delle crisi geopolitiche, come dimostra il distretto calzaturiero destinato per lungo tempo all’Est Europa e alla Russia in particolare. Produzioni di qualità che hanno subito già attacchi pesanti da normative europee che hanno permesso di aggirare le regole del made in Italy, considerato fattore competitivo nel mercato internazionale.

Parliamo di contraddizioni esplose nel recente passato in episodi di grave intolleranza verso le persone migranti. Un fenomeno che sembra ora attenuato tanto da non aver determinato i contenuti della campagna elettorale, concentrata sulla voce preponderante di ogni bilancio regionale e cioè la copertura del Servizio sanitario nazionale con i fondi del Pnrr non pienamente utilizzati secondo il cronoprogramma. La concezione di salute pubblica e la crescita delle privatizzazioni è un argomento che dovrebbe, come nelle altre regioni, determinare la diversità dei programmi dei candidati. Sulla questione, Silvio Minnetti ha riportato un lavoro di approfondimento in vista delle elezioni regionali ormai alle porte.

Per la Valle d’Aosta si registra la volontà della vittoria di Fratelli d’Italia presente in una coalizione civica contro un raggruppamento storicamente autonomista.  L’Union valdôtaine ha superato le sue scissioni interne e ha i numeri per resistere. Si vota anche in 65 comuni compresa la città di Aosta. Di sicuro appare discriminante la questione sulla gestione delle zone di montagna che si presta alle stesse problematiche delle aree interne. Punto di riferimento in questo campo è il lavoro dell’associazione Uncem guidata da Marco Bussone.

Anche la questione della guerra imminente, il caso eclatante della tragedia in corso a Gaza e la solidarietà diffusa verso le sofferenze del popolo palestinese hanno fatto sentire inevitabilmente i loro effetti nel dibattito politico che pur se concentrato in ambito locale non può non far emergere, da una prospettiva planetaria, l’idea di società che dovrebbe muovere il consenso verso una parte politica o l’altra.

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