Egitto, è in arrivo dall’Italia un bastimento carico di armi

L’Italia vende armi e tecnologia bellica all’Egitto. Come si coniuga questa scelta con il processo per l’uccisione di Giulio Regeni?
Egitto, nave dall'Italia Archivio

«È arrivato un bastimento, è arrivato carico di A – scriveva Gianni Rodari nella nota filastrocca, e proseguiva – aranci, avvocati, ananassi, antenati, artigiani, accattoni, aquile, aquiloni, accendini, armistizi, alabarde, avventizi, arazzi, armonie con altre astruserie e molte amenità, quel bravo bastimento tutto carico di A». Il bastimento partito la settimana scorsa dall’Italia per l’Egitto è anch’esso carico di “A”, ma nel caso specifico si tratta di armi, anzi per meglio dire il bastimento che l’Italia ha venduto all’Egitto è una nave da guerra. Si tratta della prima di due fregate fremm (prodotte a Riva Trigoso da Fincantieri e cedute per 1,2 miliardi di euro), la “Spartaco Schergat” ribattezzata “al-Galala” dalla Marina militare egiziana. È partita il 23 dicembre scorso dai cantieri di Muggiano (La Spezia), dove è stata allestita. A bordo c’era un equipaggio di 200 marinai egiziani addestrati in Italia nei mesi scorsi.

È una splendida nave, nuova di zecca: lunga 144 metri e larga 19,7, stazza 6.700 tonnellate e raggiunge una velocità di 27 nodi (50 km/h).

Una seconda fregata italiana, la “Emilio Bianchi”, percorrerà la stessa rotta fra qualche mese. L’autorizzazione all’operazione è stata data dal Governo italiano il 7 agosto scorso, vale a dire durante le calure estive in cui forse l’opinione pubblica italiana è tradizionalmente meno attenta a cogliere le “sfumature” delle decisioni governative.

Fincantieri ( controllata dallo Stato italiano) si sarebbe impegnata a realizzare per la Marina italiana altre due fregate più moderne, e a costruirne altre quattro per l’Egitto. Pare che ci sia anche l’ipotesi di ulteriori contratti militari per fornire pattugliatori, caccia Eurofighter, aerei addestratori, elicotteri, un satellite ed altro materiale militare per un valore che si aggirerebbe intorno a 9-11 miliardi di euro, per ora. Tutto ciò senza alcun dibattito in Parlamento: Rete italiana Pace e Disarmo intende rinnovare al Governo la richiesta di presentare la questione alle Camere, secondo quanto prevede la legge 185/1990 sulla vendita di armi. Tanto più che nel frattempo, lo scorso 16 dicembre, il Parlamento Europeo ha denunciato il regime egiziano per l’aumento di esecuzioni capitali e per continue violazioni delle libertà e dei diritti, esortando gli Stati membri dell’Ue a sospendere la vendita di armi all’Egitto.

Per noi italiani, come tutti sappiamo, in contrasto con la vendita delle armi c’è la drammatica vicenda umana e giudiziaria relativa all’uccisione di Giulio Regeni e quella del carcere senza denuncia né processo per Patrick Zaki.

Anche se la manovra sulle navi è difficile da digerire, è necessario dire che i rapporti tra Italia ed Egitto vanno colti nella loro complessità. A mio avviso non si tratta di ritirare l’ambasciatore al Cairo, come chiede la famiglia Regeni e parte dell’opinione pubblica, ma di ben altro: di avere una politica estera trasparente nei confronti del grande Paese nordafricano, nostro vicino di casa, con il quale è necessario mantenere nonostante tutto relazioni di collaborazione. Come sottolineava in questi giorni l’ambasciatore Stefanini (ex rappresentante italiano presso la Nato ed ex vicepresidente di Oto-Melara, Finmeccanica): «Fare politica estera significa, in questo caso, fermezza nel chiedere giustizia su Regeni e realismo nel riconoscere che il rapporto fra Italia e Egitto è strategico. Esiste un interesse nazionale a coltivarlo anche se l’omicidio del giovane ricercatore italiano resta un nodo insoluto e la nostra profonda insoddisfazione non deve assolutamente essere nascosta. Difficile? Sì, ma questa è politica estera».

Sul piatto della bilancia, va ricordato, è d’obbligo mettere anche la politica energetica (fondamentale per l’Italia) e le forniture di gas provenienti dal giacimento Zohr, al largo delle coste egiziane, che produce oltre 76.500 metri cubi di gas al giorno ed è gestito in buona misura dall’italiana Eni, che detiene una quota di partecipazione all’impresa del 50%. La motivazione della vendita di armi all’Egitto da parte dell’Italia è intuitivamente, quindi, da collegarsi alla difesa del sito di estrazione egiziano. E sarebbe un errore trascurare questo dato, soprattutto con le tensioni in corso nel Mediterraneo Orientale (Libia compresa), inevitabilmente connesse proprio ai giacimenti di gas (egiziani, israeliani e ciprioti, per ora) e alle minacciose, e come sempre indignate, “rivendicazioni” turche.

Potrà apparire insopportabile l’atteggiamento della magistratura egiziana, che nega ogni responsabilità per la tortura e l’uccisione di Giulio Regeni, ma non si può comprendere la questione dei rapporti tra Italia ed Egitto senza allargare lo sguardo alle complesse connessioni politiche, strategiche ed economiche fra i due Paesi. Per l’Italia il nodo del problema non è se assolvere o condannare al-Sisi e il suo regime (l’Italia intrattiene giustamente relazioni diplomatiche con molti governi ben poco democratici), ma quello di mostrare atteggiamenti meno ambigui degli attuali, affrontando apertamente scelte difficili da conciliare, come la produzione e vendita di armi e la difesa del diritto e dei diritti umani.

 

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