Economia per uomini liberi

Ripartire dal bene comune e dalla dignità umana per rifondare l’economia e affrontare le sfide sociali, politiche e culturali. Intervista all’arcivescovo di Tegucigalpa, in Honduras, card. Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga
cardinale rodriguez maradiaga

«Mi pongo da tempo una domanda: dove sono i grandi dell’economia, perché sono incapaci di trovare un sistema migliore? Perché un sistema economico migliore deve esserci: è per questo che Dio ha dato intelligenza all’essere umano. Invece, oggi c’è solo lo spettro di banche e società transazionali: una globalizzazione che maschera il monopolio, con banche e catene di supermercati che non lasciano spazio ai piccoli imprenditori. È solo cupidigia, voglia di avere sempre di più».

Giunto a Roma per intervenire al congresso internazionale indetto dal Pontificio consiglio della giustizia e della pace, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’enciclica Mater et  Magistra, il cardinale honduregno Rodriguez Maradiaga ci parla di temi che gli stanno particolarmente a cuore: l’importanza della Dottrina sociale della Chiesa, la necessità di un ruolo più attivo dei cristiani nella difesa della vita, il peso di un’economia che rispetti la dignità delle persone. «Il vero imprenditore – afferma – è colui che vuole aiutare il suo Paese a svilupparsi. Oggi, invece, si va dove il lavoro è più a buon mercato, senza pensare se quel lavoro rende le persone schiave; questo è un sistema sbagliato», che non rispetta l’uomo.

 

Eminenza, quali sono i valori irrinunciabili per un cristiano e  un cattolico?

«La Mater et magistra ci dice quali sono questi valori fondamentali, come i quattro pilastri su cui edificare una casa: verità, giustizia, libertà e amore. Questi valori vengono dal Vangelo. Se per un’ipotesi, come diceva padre Cantalamessa, restasse solo una parola, amore, si sarebbe salvata tutta la rivelazione, perché la verità più grande è questa: Dio è amore. La Dottrina sociale della Chiesa si fonda su questo grande amore di Dio per l’essere umano e le nostre vicende».

 

Lei insiste nel chiedere di dare impulso alla Dottrina sociale della Chiesa, soprattutto nei seminari. Perché?

«Perché dobbiamo evangelizzare un mondo concreto, dove i problemi urgenti dell’economia, della politica, della cultura e della famiglia richiedono una conoscenza profonda della Dottrina sociale. Senza di essa non è facile dare risposte plausibili al mondo di oggi. Essa è anche un ponte per collaborare con quelli che non sono membri della Chiesa cattolica, ma uomini di buona volontà che possono così lavorare bene insieme. Come in Giappone, dove la fede cattolica è una minoranza ma la Chiesa cattolica, e in particolare l’Università cattolica, ha un prestigio enorme e tanti studiosi la rispettano».

 

Qual è il rapporto nella Chiesa tra giustizia e carità?

«Ci sono stati tempi, soprattutto negli anni Settanta, in cui si diceva: “Non si deve dare per carità quello che si deve per giustizia”, perché si pensava che la carità fosse elemosina. Tanti cattolici, io incluso, siamo cresciuti con questo pensiero. Ma Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno fatto superare questa falsa divisione: giustizia e carità vanno insieme, perché vengono dallo stesso Dio. L’amore fa in modo che si possa praticare la giustizia, che è la promozione della persona con tutti i suoi diritti».

 

Cosa manca per una globalizzazione solidale?

«Manca una visione nuova dell’economia, che sia guidata dal bene comune. Questa assenza è emersa soprattutto dopo la crisi economica cominciata nel 2006, che ha raggiunto l’apice nel 2009. All’economia mondiale manca questa nuova prospettiva: si pensa soltanto al bene particolare e poi, si salvi chi può! In Europa, a causa di questi disastri economici, c’è grande difficoltà ad accettare il riscatto della Grecia o del Portogallo. Molti dicono: questi Stati sono entrati nell’Ue, ne hanno approfittato e ora dobbiamo anche riscattarli? Va promossa l’evangelizzazione dei politici, perché non possiamo favorire un sistema economico che arricchisca solo pochi per via di un sistema che non funziona più e che produce ineguaglianza: da un lato pochi ricchissimi, dall’altro tanti poverissimi».

 

In questo contesto, quali sono le sfide più grandi per i cristiani?

«Credo che la sfida più grande consista nel creare un altro sistema economico, più giusto, più equo, basato sul bene comune e sulla dignità di ogni persona umana. È difficile essere imprenditore: nella lingua spagnola si fa una grande differenza tra l’imprenditore (che vuole lo sviluppo e la crescita della gente) e l’uomo d’affari (che intende solo guadagnare di più). Pensiamo poi ai problemi del lavoro: prima si parlava di stabilità, adesso ci sono persone che nel corso della vita dovranno affrontare 10, 15 lavori differenti; e questo non è giusto né umano, perché lascia la gente senza protezione e senza futuro. Anche una piantina ha bisogno di un po’ di terra per fissare le radici. Invece i lavoratori devono vivere alla giornata, senza sapere cosa accadrà il giorno dopo. Ma un sistema che funziona così non è valido. Pensiamo poi alla questione del potere nell’economia. Di certo non sono i governi a comandare. Sono le banche che comandano e speculano sulla povera gente: questo non è giusto. Quale modello si insegna ai giovani? Si dice loro: fate cose cattive, non abbiate scrupoli e starete bene. Si è marginalizzata l’etica della vita economica e questa privatizzazione dei valori conduce ai crimini finanziari».

 

Uno sguardo sull’Honduras?

«Grazie a Dio si comincia a trovare un po’ di pace sociale. Speriamo che nel mese di giugno il governo sia riconosciuto dalla Federazione degli Stati americani, in modo da rimettere in moto l’economia. All’inizio di questo mese sono venuti nel nostro Paese un centinaio di imprenditori di tutto il mondo per promuovere progetti di energia, soprattutto energia pulita, per la costruzione di strade e per la piccola industria: speriamo che la comunità internazionale riconosca che tutti abbiamo diritto allo sviluppo».

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