Economia globale e speculazione

Mettendo in discussione la relazione fra valore e prezzo, nel suo ultimo libro l'economiasta Mazzucato alimenta una prospettiva di speranza per la costruzione di un modello di crescita innovativo, inclusivo e sostenibile.

È piena di coraggio e prospettiva l’ultima fatica editoriale di Mariana Mazzucato, economista di origine italiana, docente di Economia dell’innovazione a Londra e volto noto al grande pubblico per le numerose apparizioni in talk-show di approfondimento nel “prime time” serale.

Il suo libro “Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale”, pubblicato da Laterza, si inserisce nella scia dei numerosi contributi che, dalla crisi iniziata nel 2008, stanno mettendo in forte discussione quel pensiero “mainstream” che tuttora guida la gran parte delle scelte economiche dei singoli cittadini, dei loro governi e delle istituzioni finanziarie a tutti i livelli.

Con una naturale continuità con il precedente lavoro del 2011, “Lo Stato innovatore”, la studiosa allarga lo sguardo e affronta un tema che sta nei fondamenti del pensiero economico moderno: la teoria del valore. La tesi di Mazzucato è che gli attuali esiti indesiderati del sistema economico, dall’aumento delle disuguaglianze alla crisi ambientale, siano da ascriversi ad una inadeguata e forse equivoca teoria del valore, oltre che ad una serie di mitologie totalmente infondate.

Compiendo un viaggio nella storia del pensiero economico moderno (dalla metà del XVII secolo), a partire dai mercantilisti  (valore nel commercio) e fisiocratici (valore nella terra), Mazzucato incontra i classici come Adam Smith, David Ricardo e Karl Marx che definiscono la teoria del valore a partire dal lavoro. Questo viaggio raggiunge uno snodo critico, secondo l’autrice (ma condiviso indirettamente anche da altri autorevoli colleghi come Stiglitz e Piketty), quando il valore, con la rivoluzione marginalista, perde la sua connotazione oggettiva, per diventare espressione soggettiva di preferenze.

mariana-mazzucato-foto-ansaÈ il prezzo, ad un certo punto della storia del pensiero economico (anni ’30 del XVII secolo), a diventare l’elemento fondante del valore. Questo passaggio teorico ha, come per le teorie precedenti, fortissime implicazioni, una di queste è quale sia il perimetro fra ciò che è produttivo e ciò che è improduttivo.

Così se la teoria del valore-lavoro ha consentito di definire e distinguere profitti da rendite, la teoria marginalista ha successivamente reso permeabile lo stesso confine, ricomprendendo nella creazione di valore tanto i “produttori” che gli “estrattori”.

Con questo approccio, un’attività come la speculazione finanziaria, che ha un mercato e quindi prezzi, viene considerata “produttiva”, mentre lo Stato, che offre servizi reali ai cittadini, ma non ha spesso prezzi per misurarne il valore, viene considerato un settore improduttivo.

Ulteriore conseguenza di una teoria del valore è la scelta di come misurare la ricchezza di una nazione. Che storia ci racconta il PIL di un paese? Di che tipo di ricchezza stiamo parlando? Quali beni e servizi dobbiamo includere nel PIL?

E poi ogni teoria del valore assegna ruoli diversi a Stato e mercato, e va a connotare la stessa natura degli investimenti pubblici. Come mostra Mazzucato è fondamentale decidere quali risultati debbano produrre e su che orizzonte temporale vanno posti.

Nella trama narrativa, alla critica rigorosa sul sistema economico attuale, l’economista affianca numerose proposte. Di certo la messa in discussione della relazione fra valore e prezzo, cuore di questo libro – come è avvenuto nell’esplicitare la differenza fra utilità e felicità – alimenta davvero una prospettiva di speranza per costruire un modello di crescita innovativo, inclusivo e sostenibile.

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