Che piacere l’estate nello Yorkshire del 1930, nella storica, fastosa dimora dei Crawley, sempre insieme dopo la morte della grande Lady Violet. La “famiglia” è riunita, deve gestire l’eredità della nonna, torna l’andirivieni di feste e ricevimenti, con la servitù ormai “di casa” che sa tutto e dice tutto. Ma le cose stanno cambiando anche in Inghilterra: il maggiordomo Charles Carson va in pensione – e fatica a farsi da parte -, se ne dovrebbe andare pure la cuoca Mrs Patmore, sostituita dall’intraprendente Daisy. E intanto arriva dall’America Harold, fratello della padrona di casa, insieme ad un amico affarista di bella presenza.
La star della storia e del film è Lady Mary (Michelle Dockery) che fa il suo ritorno in società indossando uno sgargiante abito rosso fuoco, ma è costretta ad andarsene perché divorziata. Scandalo a corte e tra i nobili che le voltano le spalle. Tensione prevedibile, raffreddata però dai dialoghi saporiti della servitù, dalle alleanze familiari contro i pettegolezzi nobiliari. Che fare affinché Mary ritorni a brillare in società? Arriva sir Noel Coward, scrittore teatrale di successo insieme all’amico attore Guy Dexter, personaggi fuori schema all’epoca, e attraverso una congiura deliziosa Mary avrà successo. Anzi, il capofamiglia accetta di andare a vivere in un appartamento, lasciare alla figlia il governo della tenuta, vendere il palazzo londinese: insomma, la pensione.
Delizioso, spumeggiante, scritto benissimo con spirito e un pizzico di trasgressione – Lady Mary per prima con l’amico astuto dello zio Harold – tra corse di cavalli, feste, appuntamenti, discorsi e abiti da sera, il Gran Finale della serie di successo si gode la malinconia degli addii, la fine di un mondo e con Mary l’arrivo della modernità, almeno fino agli anni Sessanta, quando anche lei dovrà lasciare…
Magistrale è l’interpretazione corale del cast, perfetto ritratto di una società più o meno da favola, con quell’umorismo intelligente, fine ed amabile che, al di là di qualche piacevole cattiveria, guarda serenamente al futuro. Brio, luce, e gioia di vivere, andando al passo con i tempi. È una favola, ma con tanti riferimenti alla vita vera.
Per nulla favola, ma umorismo nero, spagnolo, alla Almodòvar, è La riunione di condominio diretto da Santiago Requejo. Tutto si svolge all’interno di un appartamento quasi in rovina, quello del giovane proprietario che lo deve affittare ad un collega. I condomini, buoni borghesi, discutono se cambiare o meno l’ascensore, tutti approvano e stanno per andarsene. Ma quando vengono a sapere che il probabile inquilino – che sta per arrivare – ha qualche disturbo mentale, l’aria cambia. Si scatena una commedia tragicomica, dove la cortesia iniziale, si trasforma in un crescendo rossiniano, gustoso e crudele, in una discussione dove vengono alla luce frustrazioni, gelosie, cattiverie,insulti reciproci. Gli adulti sono peggio dei due giovani presenti: è una sorta di seduta psicanalitica con una verve incontrollabile, come in certi finali appunto di Rossini: il surreale. Il povero nuovo possibile inquilino, che arriva con una torta pacificatrice, viene sommerso dalla follia collettiva dove risuona il “votemos”, votiamo – titolo del film in originale – che è una caricatura divertita del concetto di democrazia, diverso per ciascuno. Gli adulti non ci fanno una bella figura.
Il regista lascia scatenare gli attori e il divertimento nero è assicurato. Con in più l’astuzia del proprietario, che non sveliamo, la quale suona come una risata sardonica su questa “affettuosa” riunione di condominio. Così va il mondo, dice il melodramma spagnolo, eccessivo, assurdo, ma non feroce né offensivo, bensì estroso fino al surreale.