Nacque il 22 febbraio 1810, Frédéric. Sembra ieri. All’Accademia di Santa Cecilia, Rafal Bechacz, 25 anni, vincitore del prestigioso Premio Chopin, è esile, pieno di capelli, emotivo polacco come lui. Suona il Concerto n. 2 per piano e orchestra. Il tocco “perlaceo” chopiniano, altra cosa dal collega vulcanico Liszt, rivive nel Maestoso non aggressivo, nel Larghetto che è un canto fiorito, simile alle melodie di Bellini; luccica nel Finale. Chopin è delicato come una nuvola, fa “suonare l’anima”, è sentimento. Il vero romanticismo. Commuove. Bechaz, così giovane, sembra avere la sua stessa purezza, il tocco trasparente, l’amore per quei tempi “rubati” pieni di incanto.
Chopin è difficilissimo, perché interiore. Non amava le grandi folle ai concerti, lui suonava per un gruppo di amici. Sfiorava i tasti con leggerezza, raccontano i contemporanei. Per questo, oggi interpretarlo è una sfida. Anche per personalità come Bechacz, Christian Zimerman e Maurizio Pollini, che ne hanno eseguito i Notturni e le Sonate con una passione quasi dolorosa.
La musica di Chopin infatti contiene un respiro particolare, un modo di legare le note fra loro e accenderle che solo una sensibilità finissima può cogliere, e far cogliere per quello che sono: amore.
È ciò che rende questo musicista quanto mai vivo. L’anno chopiniano diventa così un’occasione di incontrarlo nelle sue composizioni e forse di cominciare a comprenderlo. Forse anche viaggiando, in Polonia, a Varsavia, dove è sepolto il suo cuore. E a Parigi, nell’ombroso e nascosto Museo della vita romantica. Soprattutto, accanto ai fiori freschi che ogni giorno vengono deposti al Père Lachaise, il cimitero dove è sepolto dal 1849 e dove molti sostano davanti alla piccola tomba del poeta innamorato della vita.
Per informazioni sull’anno chopiniano: www.santacecilia.it. www.chopin.festival.pl