Due culture: la speranza e il diabolico

La prima getta le fondamenta di una società fatta di gioia e di libertà, opposta a quella dell'individualismo, dello sfruttamento e della distruzione. Papa Francesco continua ad incoraggiare la sequela di Gesù al di là di esorcismi o di liberazioni vere o presunte

«La più grande vittoria del demonio è di far credere che non esiste»: è una famosa frase attribuita a Charles Beaudelaire. Di una sottilissima malizia, degna del demonio.

Una delle tragedie del nostro mondo è l’illlusione: credere cioè che la felicità stia proprio là dove non la si può trovare, in miraggi che si dissolvono quando li avviciniamo. E poi credere solo a ciò che si vede e si tocca, scambiare Dio per gli idoli (ricchezza, potere, fama, sesso), vivere fuori della realtà vera (come Dio la vede), immersi nelle cose false, piccole e meschine.

Il demonio è il contrario di Dio, è il “bugiardo”, che ci inganna. Dio è la verità, non solo in sé, ma nella sua “cultura”, cioè nella sua visione del mondo: del cosmo, dell’uomo e della donna, dei rapporti a livello di persone, di progetto di società, con tutte le conseguenza concrete. Anche il demonio ha la sua cultura, che è semplicemente quella di Dio rovesciata: la distruzione della natura, l’individualismo e l’egoismo personale, lo sfruttamento della persona a livello di lavoro, di sesso, la finanza e il denaro al primo posto, scartando la persona, la lotta fra le società.

Un aspetto interessante di papa Francesco – proprio su questa linea – è la sua insistenza a ricordare la presenza e l’azione del demonio. Molti non se l’aspettavano proprio da lui. Ne parla seriamente, come durante la messa della domenica delle Palme: «Viene il nemico, viene il diavolo, mascherato da angelo tante volte, e insidiosamente ci dice la sua parola. Non ascoltatelo! Seguiamo Gesù! Qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù». Sono le "due culture”.

Gesù ha detto: «Non potete servire Dio e mammona (la ricchezza, una delle manifestazioni del demonio)» (Mt 6,24). È una delle tante alternative antitetiche che si trovano nella Bibbia e che evidenziano l’incompatibilità fra Dio e il demonio, fra la “cultura” di Dio e quella del suo avversario.

Una delle più sottili illusioni è di conciliare l’inconciliabile. E poi si piange. Provate a leggere, ascoltare o vedere i vari media: molti programmi e gran parte della pubblicità presentano e identificano la felicità in cose banali o in rapporti personali privi di serietà, la donna appare prevalentemente come oggetto, il denaro è messo al vertice dei valori, il successo va ottenuto ad ogni costo. Poi in altre pagine, accanto o in programmi contigui, si inorridisce per  omicidi passionali, si piange sul latte versato della crisi economica, si critica l’incapacità di dialogare dei politici. Capitemi bene, non voglio demonizzare quello che non lo è, ma siamo seri: «Hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta», diceva Osea (8,7), ripreso dalla nostra tradizione proverbiale. Il vento è “il soffio” distruttore del demonio, contrapposto al “soffio” creatore di Dio.

Non si tratta di riesumare lo spirito delle crociate, ma di fare l’unica scelta che vale la pena. Per restare nel contesto della “cultura”, dobbiamo scegliere di essere intelligenti. Nel senso profondo del termine: intus legere, leggere in profondità, scavare dentro noi stessi, negli altri e nel mondo per lasciarci inzuppare della “cultura” di Dio. O, in altre parole, acquistare la sapienza, cioè il gusto dello Spirito Santo.

Si parla di Nuova evangelizzazione. Credo che uno dei suoi impegni principali sia esattamente quello di aiutare i cristiani a essere intelligenti, a saper discernere la presenza di Dio da quella del demonio. Senza supponenza, senza creare steccati (pericolosi, perché ci si può trovare in qualche compagnia sgradita la parabola del  grano e della zizzania insegna), sapendo scoprire il bene dovunque si trovi (e, ugualmente, il male ovunque si trovi), con la coscienza trasparente della propria identità, che però non si chiarisce in una torre d’avorio, ma nel rischio del confronto e dello scambio.

In fondo, si tratta della conquista della libertà, nostra e degli altri, e qui si gioca uno dei criteri dell’intelligenza cristiana. Gesù, al demonio che gli offriva tutto il mondo se si fosse prostrato ad adorarlo, ha risposto: «Il Signore, Dio tuo, adorerai» (Mt 4, 9s.)». In cambio di regnare schiavo su schiavi, ha scelto la libertà dell’amore, fino alla croce.

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