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Siria, perché Israele sostiene i Drusi

di Bruno Cantamessa

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

Raid aerei israeliani prendono di mira da qualche giorno i militari siriani, colpendo mezzi pesanti e veicoli della sicurezza, nella regione a maggioranza drusa di Al Suwayda. Ma hanno attaccato anche il palazzo presidenziale e la sede del ministero della Difesa a Damasco e sono proseguiti nella regione costiera di Latakia. Cosa c’entrano i drusi in tutto questo accanimento?

Una donna drusa al confine tra Siria e Israele. EPA/ATEF SAFADI

Come sia cominciato non è affatto chiaro. Ma il finale era quasi scontato, essendoci di mezzo i drusi. Mi riferisco agli scontri del 13-15 luglio nel sud della Siria, nella regione di Al Suwayda, fra gruppi etno-religiosi: nella fattispecie beduini sunniti da una parte e drusi dall’altra.

Secondo una ricostruzione di Al Jazeera, domenica 13 luglio un gruppo armato beduino (che nella regione sono una minoranza) per qualche motivo sconosciuto avrebbe rapito un druso. La risposta del gruppo del leader druso Hikmat al-Hijri sarebbe stata quella di rapire 10 beduini, di diverse tribù. A seguire attacchi, spari, vendette, morti e feriti fra i due gruppi, che da sempre sono in pessimi rapporti. Secondo un’altra versione, il druso rapito dai beduini (non si sa perché) sarebbe stato un ortolano di Al Suwayda, che tornava da Damasco a bordo del suo furgone. La seconda parte è la stessa della prima ipotesi: attacchi, spari, vendette, morti e feriti.

Due giorni di agguati e attacchi incrociati con un centinaio di morti, di cui una sessantina drusi.

La seconda fase, che ricorda molto da vicino il massacro degli alawiti di marzo scorso nella regione costiera di Latakia e Baniyas, inizia con un analogo intervento dell’esercito siriano affiancato da non meglio specificate forze di sicurezza (qualche banda armata recuperata nel vasto sottobosco islamista, probabilmente). La mattina del 15 luglio si giunge ad una sorta di tregua fra le parti, anche se non completa, imposta o mediata dai militari in accordo con i notabili di vari gruppi drusi, che in maggioranza sono favorevoli ad un accordo con il governo siriano, pur chiedendo alcune autonomie. Ma quando l’esercito si sta ritirando, lasciando in zona solo le forze di sicurezza, cominciano a correre notizie di saccheggi, esecuzioni e violenze sui civili. Si dice che le forze di sicurezza si siano alleate con i beduini sunniti per attaccare i drusi. Non è impossibile che sia avvenuto, certo.

Al gruppo armato druso di Hikmat al-Hijri né la tregua né gli attacchi stanno bene, anche perché fra i capi drusi della regione al-Hijri è l’unico tendenzialmente filo-israeliano e quello che fa più fatica a digerire il presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa, ex leader del gruppo islamista Hay’at Tahrir al-Sham (Hts) che, alleato con un vasto campionario di ribelli, ha cacciato il regime di Bashar al Assad a dicembre. Così, poco dopo l’annuncio della tregua, al-Hijri la rinnega, sostenendo che è stata imposta, e invitando i drusi alla resistenza contro le forze governative. Qualcuno del gruppo avrebbe addirittura alzato una bandiera israeliana su un edificio di Al Suwayda.

Il finale quasi scontato di questa specie di farsa non poteva che essere l’intervento di Israele: con una imbronciata dichiarazione congiunta del 15 luglio, il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Katz annunciano l’attacco dell’Idf conto le forze siriane «per proteggere le comunità druse, alla luce dei profondi legami tra i cittadini drusi di Israele e i loro fratelli siriani».

I raid aerei dell’Idf prendono di mira i militari siriani, colpendo mezzi pesanti e veicoli della sicurezza, mentre gli elicotteri israeliani sorvolano le zone degli scontri. Nei giorni seguenti, per ribadire il concetto, gli israeliani attaccano più volte il palazzo presidenziale e la sede del ministero della Difesa a Damasco. Secondo Al-Jazeera, i raid israeliani contro siti militari siriani sono continuati nella regione costiera di Latakia.

È evidente che il “patrocinio” israeliano sui drusi è qualcosa di molto vicino ad un pretesto, per usare un eufemismo, per ribadire che in Siria, vicino al confine con Israele, l’esercito siriano dei ribelli che hanno scacciato il regime degli Assad non deve mettere piede. Mai. E non importa che i drusi siriani favorevoli a Israele siano pochi; o che il governo siriano non abbia fatto nulla di ostile a Israele; o che bombardare la Siria sia un’ingerenza in un altro paese. La regola unilaterale, rigidissima, è: chi si avvicina muore.

Ma chi sono i drusi e qual è il conclamato rapporto di “fratellanza” invocato da Netanyahu e Katz? I drusi appartengono a un gruppo religioso che si è separato dall’Islam intorno all’XI secolo, la loro fede contiene aspetti delle tre religioni monoteiste – cristianesimo, ebraismo, islam –, insieme a principi mediati dall’induismo e dalla filosofia greco-ellenistica. Sono un gruppo chiuso e orgoglioso di circa un milione di persone, che vivono soprattutto in Siria e Libano. Circa 150 mila sono quelli israeliani. Sono arabi ma non palestinesi. In Israele i drusi (fin dagli anni ’50) sono accettati dallo Stato ebraico, pur non essendo ebrei. Molti di loro prestano servizio militare nell’Idf, l’esercito di Israele, in corpi speciali.

Il presidente ad interim siriano, Al-Sharaa, ha accusato «l’entità israeliana di aver preso di mira su larga scala strutture civili e governative». Ed ha aggiunto che l’attacco israeliano avrebbe «spinto le cose verso un’escalation su larga scala, se non fosse stato per l’efficace intervento della mediazione americana, araba e turca, che ha salvato la regione da un destino sconosciuto».

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