Siamo tutti cacciatori e cacciati? Se lo chiede il film di Luca Guadagnino, il quale, come cerca di fare sempre, ci guarda dentro. E ci costringe a guardarci. Questa volta in maniera meno estetizzante, più densa ma anche più equivoca in un film nebbioso, molto parlato, recitato splendidamente da Andrew Garfield ed in particolare da Julia Roberts, per la quale gli anni passano ma non l’intatta personalità seducente con un filo di nervosa tristezza.
Julia è Alma, docente universitaria di filosofia, in attesa di diventare di ruolo. Intelligente, amicissima del collega Hank (Garfield), sposata da anni con uno psicologo amorevole che la accudisce pazientemente. Un matrimonio che funziona, nella reciproca distanza, almeno per lei. Alma vive nel suo mondo intellettuale, segue gli studenti, in particolare Maggie, di cui è amica e che è interessata a lei sotto diversi aspetti, non ultimo quello affettuoso.
Ma quando Hank viene accusato da Maggie di molestie e la ragazza le chiede aiuto, la professoressa si ritira, si immunizza da ogni possibile conflitto in nome della carriera, diventa ambigua, si nasconde. La caccia allora inizia fra le due donne ma un po’ fra tutti. Ognuno nasconde qualcosa, ha una immagine pubblica e la caccia, sottilmente spietata, si scatena. Maggie infatti viene a conoscenza di un segreto di Alma, la ricatta, si vendica, Hank se ne va, il marito reagisce a suo modo ,forse rivelandosi finalmente per quello che è….La corsa alla verità è iniziata, ma chi la vuole conoscere veramente, dato che ciascuno ha la sua ricetta? Deve cacciare ora chi è cacciato?
Questa è la società, pare dire Guadagnino.
Nell’intreccio di un racconto pluricentrico e non sempre facile da seguire, talora cervellotico e sofisticato, Alma si svelerà per quello che è, quando perderà la cattedra e la sua verità verrà alla luce, mentre Maggie sarà lontana.
Non è un film facile, (un po’ radical chic?), eppure le tante linee poi conducono ad una sola: il desiderio. In esso si condensano le ricette della vita, gli ardori, gli amori. Sarà possibile essere autentici, dopo esser stati cacciati e quindi in un certo senso morti, ad una certa vita? Chissà.
Nelle scene spesso al chiuso il thriller psicologico si svolge con un sotteso nervosismo – Alma è nevrotica -, una descrizione delle ipocrisie nei rapporti sociali ed una volontà di serenità, per giungere alla quale ci vuole forse il dolore, un certo tipo di morte. Per poi essere finalmente liberi?
In questo film di donne ma non femminista sono loro a condurre la matassa intricata, grazie ad un cast mirabile e ad una regia minuziosa. Per rispondere alla domanda di sempre: cosa è la verità?
Un gioiello su Mymovies
Si tratta di DJ Ahmet del regista macedone Giorgi M. Unkowski, presentato al Sundance Festival come opera prima. Una storia tra modernità e passato che vede protagonisti due fratelli: Ahmet, quindici anni, che il padre vedovo toglie dalla scuola per fargli seguire le venti pecore, e il fratellino Naim, che tutto vede ma non parla. La complicità fra i due è un amore si direbbe materno da parte di Ahmet, tanto che il piccolo alla fine riuscirà a parlare. Ahmet ama la musica moderna e una notte si inoltra in un bosco partecipando ad un rave in un’atmosfera di lucida follia, fiabesca, che gli rimane impressa. Conosce Aya, diciassette anni, che deve sposarsi con un giovane del suo ambiente – sono la minoranza etnica turca degli Yuruk – che viene dalla Germania. Tutto è pronto, ma il ragazzo innamorato per la prima volta manderà a monte il matrimonio sull’onda della musica e del ballo.
Un film pastorale di monti valli e cieli e soprattutto di volti: quello di Ahmet, segnato dal dolore, dalla fatica e dall’incanto della musica e dell’amore – l’attore non professionista Aris Jakup -, del fratellino dai grandi occhi espressivi, del padre rugoso, duro ma che soffre per la solitudine, e della gente del villaggio, un mondo a parte che vive di tradizioni immutabili ma che i giovani non vogliono seguire. Delicato, sensibile, scarno, fotografato poeticamente, il film è un lavoro originale da non perdere.