«Perché, se stiamo parlando di una cosa che non pone rischi per il donatore e può salvare una vita, la si conosce ancora così poco?». È rivelatrice la domanda posta da una studentessa del liceo classico “Jacopo Stellini” di Udine alla fine di una conferenza tenuta dalla sezione friulana di Admo, l’Associazione donatori di midollo osseo, che cerca di raggiungere con le sue campagne informative quanti più giovani possibile con incontri in scuole e università. Come spiega la dott.ssa Donatella Londero, responsabile del registro regionale dei donatori di midollo osseo, «per quanto sia possibile iscriversi al registro dai 18 ai 35 anni e donare fino a 55, i dati ci dicono che il maggiore successo per un trapianto si registra quando il donatore ha meno di 32 anni. Per questo si sta puntando sempre di più sui giovani». Un’opera di sensibilizzazione in cui noi abbiamo seguito, per l’appunto, Admo Fvg; ma che viene portata avanti in tutta Italia a livello regionale.
Ma facciamo un passo indietro. Il primo trapianto da donatore non familiare avviene nel 1980 negli Usa; ma la ricerca di donatori compatibili nella popolazione generale e la creazione di un registro che possa essere a disposizione potenzialmente di chiunque inizia a Londra nel 1974 dal piccolo Anthony Nolan. Ha bisogno di un trapianto, nessun familiare è compatibile, e non esistono registri che raccolgano i dati genetici delle persone disposte a donare, così da poter effettuare rapidamente una ricerca a largo raggio: la madre Shirley, quindi, lancia l’idea di crearne uno. Se la probabilità di trovare un fratello compatibile per la donazione è di 1 su 4, nella popolazione generale è di 1 su 100.000: di qui l’importanza di “registrare” quante più persone possibile, così da aumentare la possibilità di trovare almeno un donatore compatibile.
La creazione del registro non arriva in tempo per trovare un donatore per Anthony, ma l’idea è stata lanciata, arrivando anche in Italia. Nel 1989 viene avviato anche in Italia il programma nazionale di donazione di midollo osseo e viene istituito, all’interno dell’Ospedale Galliera di Genova, il Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo (internazionalmente noto come Italian Bone Marrow Donor Registry o IBMDR). Nel 1990 nasce Admo, quale supporto fondamentale per l’attività istituzionale svolta da IBMDR, da Mario Bella e Renato Picardi, due padri che hanno perso i propri figli per malattie ematologiche. Nel 1991 viene costituita Admo Federazione Italiana, che negli anni successivi riesce a coprire l’intero territorio nazionale grazie alla nascita delle Admo regionali. Tra le tappe istituzionali più significative, il riconoscimento ufficiale del Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo (IBMDR) nel 2001 e l’ingresso di Admo nella Consulta nazionale per i trapianti nel 2002. Nel 2018 Admo ottiene la possibilità di organizzare attività di reclutamento sul territorio nazionale, utilizzando personale sanitario formato e accreditato dal registro regionale di competenza territoriale.
Dalla fondazione di Admo sono state oltre 700 mila le persone che hanno scelto di tipizzarsi, ossia di mettersi a disposizione per donare tramite un prelievo di sangue o di saliva che consenta di determinare la compatibilità: si viene registrati, e si viene poi richiamati per ulteriori accertamenti e l’eventuale donazione solo nel caso in cui ci sia una possibile compatibilità con una persona ammalata.
A livello mondiale, alla data del 17 dicembre scorso erano 44.282.308 le persone iscritte ai 56 registri nazionali attualmente attivi e in comunicazione tra loro; di cui 522.337 in Italia (al 31 ottobre 2025). La regione con l’indice di reclutamento (ossia il rapporto tra numero di donatori reclutati nell’anno e la popolazione residente tra i 18 e i 35 anni) più alto è l’Emilia Romagna con 85, a fronte di una media nazionale di 29; seguita dalla Provincia Autonoma di Trento con 79, dal Friuli Venezia Giulia con 68 e dal Veneto con 62. Dopo aver raggiunto un picco nel 2018 di 44.908 nuovi iscritti, con una lieve contrazione a 43.138 nel 2019, la pandemia ha assestato un colpo con un calo a 20.960 nel 2020; ma poi il numero ha ripreso costantemente a crescere, arrivando a 32.184 nel 2024 (+7,7% sul 2023).
Il tutto mentre i trapianti, periodo della pandemia compreso, sono in costante aumento, man mano che i progressi della medicina consentono di effettuarli con maggiore efficacia e per più patologie: in Italia si è infatti passati dai 728 del 2015 ai 1095 del 2024. Nel 2024 sono stati 232 gli iscritti al registro che hanno donato ad un paziente nazionale, e 178 ad un paziente internazionale – in virtù appunto del fatto che i 56 registri sono tra loro collegati, per un totale di 410 (contro i 190 del 2015); e per il 2025, alla data del 15 novembre, si era già arrivati a 441.
Ad oggi, i progressi sia nella medicina che nei sistemi informatici che tengono in collegamento i vari registri fanno sì che l’88,5% dei pazienti trovi un donatore compatibile in circa un mese: un traguardo non da poco, visto che alcune patologie sono letteralmente una corsa contro il tempo.
Sempre i progressi della medicina fanno sì che oggi oltre il 90% delle donazioni avvenga secondo la procedura dell’aferesi – simile ad una donazione di plasma nel caso del sangue, trattenendo però le cellule staminali emopoietiche necessarie al trapianto prima di reimmetterlo nel corpo del donatore – e meno del 10% tramite il più invasivo prelievo dalla cresta iliaca (le ossa del bacino) tramite un ago, in anestesia.
Sono svariate le testimonianze che vengono portate dei volontari Admo nelle scuole, sia di chi ha ricevuto che di chi ha donato: c’è chi grazie ad un trapianto ha avuto la possibilità di guarire e veder così crescere la propria figlia, chi invece ha avuto il proprio figlio o figlia salvato da un trapianto; c’è chi ha donato e già pochi giorni dopo era di nuovo a correre su un campo da calcio, chi si è sentito richiamare a sorpresa per una compatibilità appena dopo essersi trasferito a centinaia di km da casa per studio o lavoro; chi ha atteso anni prima di donare (o nemmeno ha donato mai) e chi lo ha fatto pochi mesi dopo l’iscrizione al registro; chi ha donato nella propria città, e chi là dove si trovava anche solo temporaneamente.
Per tornare quindi alla domanda iniziale: perché si conosce così poco la donazione di midollo? Quali sono le difficoltà? «La risposta sta nelle dinamiche del nostro tempo, in cui siamo martellati da immagini, parole e notizie, spesso anche false (o “fake” come direbbero i ragazzi), e diamo peso all’apparenza (trapianto=morte=dolore; midollo=paralisi), senza prenderci del tempo per conoscere ed approfondire le cose importanti – spiega la dott.ssa Londero – . Ed in questo senso, fondamentale è la possibilità di coinvolgere quante più persone possibili, in particolare i giovani che di questa storia possono essere i protagonisti assoluti, su questa tematica, mediante messaggi semplici e chiari che aprano le nostre coscienze e ci permettano di coltivare la nostra umanità, il nostro senso civico, la solidarietà».
«La scarsa conoscenza della donazione di midollo nasce storicamente da una paura e da una sorta di stigma che negli anni passati era in tutti coloro che si ammalavano, in particolare di leucemia, la patologia più nota tra quelle che possono richiedere una trapianto – spiega la presidente di Admo Fvg, Paola Rugo -: ci si chiudeva nel silenzio, e neanche se si guariva se ne parlava. Poi il trapianto è poco conosciuto perché c’è difficoltà nello spiegare ai giovani in che cosa consiste. Non è una donazione di sangue, di comprensione più immediata, ma qualcosa che necessita di maggiore consapevolezza di ciò che viene richiesto, che implica un impegno diverso del singolo: pensiamo solo al fatto che la donazione di sangue è anche un momento “comunitario”, dato che spesso si va in gruppo a donare, mentre la donazione di midollo no. E questo spiega perché, anche in una regione come il Friuli Venezia Giulia dove c’è una forte tradizione di donazione di sangue, l’adesione al registro di donatori di midollo osseo registra un tasso inferiore. E la scarsa conoscenza genera anche diffidenza: ci capita, andando nelle scuole, che i ragazzi ci riferiscano di aver parlato a casa della propria intenzione di iscriversi al registro, ma i genitori non vorrebbero. Bisogna quindi scardinare i preconcetti e le tante domande a cui troppo spesso è stato risposto in maniera errata, o non è stato risposto affatto. Noi facciamo attività di formazione, i ragazzi rispondono e rispondono bene; e la cosa che ci fa più piacere è trovare persone che magari dopo si ricordano delle nostre conferenze, e ci raccontano di essersi iscritti al registro. Spesso ci viene chiesto perché facciamo tutto questo, ma io dico: perché non dovremmo farlo? Basta sapere che anche una sola persona riesce a fare un percorso di vita dopo una malattia per dire che ne vale la pena. Senza questo impegno dei volontari tutte le Admo regionali non sarebbero nulla».