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Come distinguere stress, eustress, distress e burnout

di Donatella Ionata

- Fonte: Città Nuova

La pandemia da Covid 19 sta aumentando i fattori di stress nella nostra vita quotidiana. Ma non tutte le situazioni impegnative sono negative: ecco perché, più che “combattere” o “eliminare” lo stress, conviene orientarlo a nostro vantaggio.

In questo periodo segnato dalla pandemia da Covid-19 siamo carichi di fattori stressanti di varia origine: c’è chi perde il lavoro e vive lo stress della disoccupazione, c’è invece chi di lavoro ne ha pure troppo e vive il sovraccarico lavorativo, ad esempio infermieri, medici etc.

Il benessere individuale, determinato da un ampio numero di variabili, è in grado di influenzare a sua volta numerosi aspetti sia individuali sia organizzativi e può rappresentare un importante elemento per migliorare l’efficacia lavorativa. Infatti, è stato dimostrato come le variabili in grado di prevedere maggiormente il rendimento lavorativo siano proprio il benessere psicologico e il commitment organizzativo con il quale termine si intende l’attaccamento al proprio lavoro.

Di solito si pensa allo stress soltanto come a qualcosa di frustrante, lo si mette in relazione alla stanchezza, allo sforzo e al gravare di responsabilità che ci si sente inadeguati a soddisfare. Questo tipo negativo di stress esiste, ma andrebbe più propriamente definito distress. C’è anche infatti l’eustress (dal greco eu = bene, buono) che è caratterizzato da vitalità e benessere fisico. Basti pensare alle risorse psicofisiche impegnate in un viaggio, in una vacanza divertente, o in un esame importante e ben riuscito. Ecco perché più che “combattere” o “eliminare” lo stress, conviene orientarlo a nostro vantaggio. In che modo?

Ogni sollecitazione o stimolo che giunge a noi produce una variazione nell’organismo. Esso deve perciò ricondurre il suo funzionamento in un ambito di equilibrio. Sono stati studiati diversi fattori psicosociali che minano questo benessere individuale e quest’equilibrio, lo stress e il burnout. Tra i fattori stressanti in un contesto di lavoro possiamo avere eccessivi livelli di rumore, temperature insostenibili, esposizione a vibrazioni elevate, anche ad esempio turni di lavoro, se distribuiti male e in orari notturni. Tra i fattori stressanti riscontriamo anche quelli meno pratici, ma più emotivi, come «l’ambiguità di ruolo», intesa come mancanza di specificità e prevedibilità del proprio ruolo che può portare a forti disagi psicologici. Ovviamente, anche elevati livelli di competizione, ostilità, ambizione ed irritabilità tra colleghi possono creare stress, insieme anche al sovraccarico lavorativo che è grande fonte agitazione per chi lo subisce.

Inoltre, una leadership sbagliata può avere un effetto devastante sull’equilibrio dei dipendenti, ad esempio una leadership esclusivamente orientata sul compito o eccessivamente punitiva ha ripercussioni negative sui lavoratori. Per ovviare a questi fattori stressanti che emergono quotidianamente in contesti lavorativi di ogni genere, ci sono diversi elementi, ad esempio: delle variabili in grado di moderare la percezione dei fattori stressanti sono il supporto sociale, l’autostima e l’autoefficacia che, secondo Bandura, è «la percezione che abbiamo di noi stessi di sapere di essere in grado di fare, sentire, esprimere, essere o divenire qualcosa». In questo senso la presenza di una rete di supporto sociale all’interno dell’organizzazione sarebbe in grado di alleviare la percezione di stress da parte dei lavoratori, come anche un buon senso di autostima ed autoefficacia.

È importante considerare che gli esiti dello stress occupazionale non riguardano esclusivamente il versante individuale, ma possono influenzare l’intero sistema organizzativo. Soprattutto in questo periodo di pandemia Covid -19, come citato precedentemente, le professioni sanitarie sono quelle che risentono di più di questa forte pressione, che in casi estremi può sfociare nel burnout. Si tratta di un esaurimento emotivo e il primo a parlarne fu lo psichiatra Kraeplin. Il  burnout esprime il disagio relativo alle sensazioni di essere continuamente in uno stato di tensione. Nel pieno di questo stato mentale, può succedere un fenomeno di distacco dell’operatore nei confronti delle persone che ricevono il servizio e una ridotta realizzazione professionale e personale, cioè la sensazione di possedere insufficienti competenze per affrontare la propria attività lavorativa.

L’insieme di questi stati mentali delineano il termine “burnout” nel senso di risposte emotive, comportamentali e cognitive alla situazione di lavoro che si sviluppa nel tempo. In questo periodo, infatti, sono molti i lavoratori che si sono ahimè trovati a sconfiggere questa condizione di forte stress emotivo, chi più o meno intensamente. Tra le cause principali vi sono fattori individuali e organizzativi che interagiscono tra loro per far emergere questo disagio. I fattori individuali sono dettati dalle caratteristiche personali di ognuno di noi, infatti ciascuno reagisce diversamente a fattori stressanti in base a quelli che sono i propri valori, vissuti, motivazioni etc. mentre i fattori organizzativi sono altrettanto influenti perché bisogna analizzare il contesto in cui la persona opera. Infatti, le tre aree principali in cui si esplica il burnout sono i ruoli lavorativi, per esempio, ossia la distribuzione dei compiti e degli impieghi che, qualora incompatibili con le capacità e i valori degli operatori, facilitano questi stati emotivi alterati. La struttura di potere, che riguarda i processi decisionali e di controllo dell’ambiente lavorativo e, infine, il clima delle relazioni all’interno dell’organizzazione, ovvero la qualità dei rapporti all’interno dei gruppi di lavoro, che incide sulle qualità delle relazioni e sulla capacità di tollerare ed affrontare il disagio derivante dalla frustrazione.

 

 

 

 

 

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