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Demografia e potere del numero

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

L’Occidente, l’Italia in particolare, è chiamato a trovare una sua strada originale per uscire dalla denatalità senza cedere a modelli competitivi basati sul numero della popolazione come espressione di potere

Demografia . (Imaginechina via AP Images)

Alla conta dei fatti si deve dire che la pandemia ha accentuato il calo dei nati in Italia. Secondo il comunicato stampa dell’Istat del 19 dicembre siamo davanti ad un nuovo «record negativo per la natalità: nel 2021 i nati scendono a 400.249, facendo registrare un calo dell’1,1% sull’anno precedente (-4.643)».

Un leggero incremento si registra sul numero medio di figli per donna: sul complesso delle residenti la cifra «risale lievemente a 1,25 rispetto al 2020 (1,24)» mentre «negli anni 2008-2010 era a 1,44».

Come afferma, in un intervento su Il Foglio, il demografo della Luiss Antoni Golini  «è difficilissimo uscire da 1,2 di natalità,  occorrerebbe che un grande numero di coppie avesse 4-5 figli e nelle condizioni attuali è impossibile. Qui è già successo al crollo dell’Impero romano. Noi possiamo solo sperare di accompagnare questo nuovo declino italiano».

La tendenza è nota da tempo. Come racconta lo stesso Golini nel libro che ha scritto assieme a Marco Valerio Lo Prete ( “Italiani poca gente, Luiss University Press”), negli anni ‘80 all’esperto professore, allora ancora in forza alla Sapienza, fu chiesto dai dirigenti di una nota azienda produttrice di biscotti per bambini di conoscere la probabilità di una possibile inversione di tendenza nel breve medio termine. La risposta dello statistico fu netta: rispose con un preciso  «“no”, articolato con statistiche e ragionamenti che – vox clamantis in deserto – andavo elaborando da qualche tempo riguardo ai pericoli dell’eccesso di denatalità in Italia».

Sembra che la multinazionale ne abbia preso atti orientando parte della sua linea di produzione e soprattutto di ricerca verso i prodotti per gli adulti e soprattutto per quelli più anziani che rappresentano al momento, finchè dura il sistema previdenziale, una fonte stabile di spesa. Gli affari, insomma si fanno con la silver economy (quella legata ai consumatori con i capelli d’argento) che è oggetto di particolari studi in campo economico e della salute.

L’unica leva duratura per la crescita demografica sembra quella legata al conflitto.

Le misure pro natalità della Francia laica trovano origine, secondo le ricostruzioni più ricorrenti, nella sconfitta di Parigi durante la battaglia di Sedan nel 1870 che si rivelò decisiva per il conflitto franco prussiano. A parere di Golini, il pericolo della decrescita nel numero delle nascite è avvertito in Francia «in maniera totale, perché i tedeschi sono arrivati tre volte a Parigi e questo ha scosso le coscienze e dato pieno significato alla crisi demografica».

Da un tale preoccupazione è nata la politica demografica del fascismo che trova il suo punto programmatico nel discorso dell’Ascensione pronunciato da Benito Mussolini il 26 maggio 1927 dove tra l’altro affermò che «l’Italia, per contare qualcosa, deve affacciarsi sulla soglia della seconda metà di questo secolo con una popolazione non inferiore di 60 milioni di abitanti.  Tutte le Nazioni e tutti gli imperi hanno sentito il morso della loro decadenza, quando hanno visto diminuire il numero delle nascite».

Quella traiettoria sarà accompagnata da misure di carattere odioso a partire dal 1938 con la proclamazione della legge sulla razza e la persecuzione degli ebrei. Una grave onta con cui l’Italia deve fare ancora i conti e ostacola inconsciamente ogni sereno dibattito sull’emergenza demografica.

Avviene oggi paradossalmente che un esempio di politica demografica utilizzata come strategia di potere arrivi oggi da Israele.

Come riporta Giulio Meotti su Il Foglio, è stata  la demografia «a riportare al potere la coalizione di destra del redivivo Benjamin Netanyahu» con la crescita di esponenti che fanno capo all’estremismo ortodosso fino a poco tempo addietro annoverati come terroristi. «La popolazione ebraica in Cisgiordania è aumentata del 42 per cento dal 2010. Il numero di abitanti nei soli due insediamenti ha raggiunto i 140.053, un aumento del 435 per cento rispetto al 2000, quando la popolazione era di appena 32.200. E in due generazioni, il 25 per cento di tutta Israele sarà composta da ultra-ortodossi».

Si tratta di un caso che desta interesse tra gli studiosi. Sempre Meotti sul sito della Luiss riporta dei dati complessivi molto interessanti a partire dal fatto che in trent’anni, il Prodotto interno lordo di Israele è aumentato del 900 per cento.

«Dal 1995 al 2015, in vent’anni, – nota Meotti- il numero di nascite fra gli ebrei israeliani è salito del 65 per cento, passando da 80.400 a 132.000 nascite».

Anche a livello comparativo emergono dati sorprendenti: «Gli ebrei israeliani hanno oggi più figli, in media, persino dei prolifici vicini egiziani, turchi e libanesi. O dell’Iran, la cui transizione demografica è il più rapido declino del tasso di fertilità mai registrato dall’Onu». Un dato sommerso che rivela molto del disagio profondo della popolazione israeliana che emerge nelle rivolte dei giovani represse nel sangue.

Secondo Arnon Wiznitzer, direttore dell’ospedale israeliano Beilinson, “siamo la superpotenza della fertilità”.

Siamo davanti ad un modello di crescita competitiva come altre volte accaduto nella storia. Accompagnata, senza voler chiudere gli occhi, dall’occupazione arbitraria dei terreni dei palestinesi con l’intenzione della loro progressiva espulsione con il fallimento della soluzione Onu dei due stati.

Se l’Occidente non vuole essere la terra del tramonto e avviarsi al suicidio demografico deve perciò trovare una strada originale e feconda, diversa da quella antagonista e del numero come potenza, per invertire il declino in forza della radice del suo umanesimo.

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