Democrazia sostenibile come obiettivo

L'opinione di Pasquale Ferrara sul discorso del presidente Obama.
Barack Obama
L’annuncio della fine delle operazioni militari in senso stretto in Iraq non è, come ha detto Obama, la proclamazione di una "vittoria". La missione non è affatto conclusa, e di fatti resteranno ad assistere le autorità irachene ben 50 mila americani con funzioni di antiterrorismo, addestramento della polizia e dell’esercito, assistenza in quella che si chiama la "governance", vale a dire la capacità di estendere la capacità dei pubblici poteri di far funzionare il Paese con accettabili condizioni di sicurezza. Da questo punto di vista, occorre ricordare che l’Iraq non è l’Afghanistan, nel senso che l’Iraq al momento dell’intervento militare americano nel 2003 era un Paese organizzato, con una sua struttura sociale, economica, politica.

 

Non è detto che sia facile, viste le condizioni in cui il Paese si trova oggi, e considerato che senza alcun dubbio il terrorismo fondamentalista di Al Qaeda con i suoi "associati" locali non mancherà di far mettere a segno le sue macabre azioni di morte e distruzione. La sobrietà con la quale Obama ha annunciato il ritiro del grosso del contingente militare la dice lunga sulle difficoltà che ancora attendono l’Iraq, che però adesso ha davvero al possibilità di prendere il suo futuro nelle sue proprie mani.

 

L’altra ragione della prudenza di Obama risiede nel fatto che si tratta di una guerra che lui stesso ha aspramente criticato in campagna elettorale, una guerra fatta "per scelta" e non "per necessità" da George W.Bush, e che ha prodotto nefaste conseguenze di lungo periodo sia per la percezione dell’America nel mondo arabo e islamico, sia per gli equilibri nella regione mediorientale. Un altro elemento che indice a non cantare vittoria è che vi è un altro, difficilissimo fronte aperto, ed è quello afghano, che se possibile sarà ancora più arduo "chiudere" di quello iracheno. L’Afghanistan, a differenza dell’Iraq, si trova ancora oggi, a ben 10 anni dall’intervento militare, in una situazione che non è esagerato definire di "caos sistemico", non solo sotto il profilo della sicurezza, ma anche dal punto di vista delle capacità di governo.
 

In entrambi i casi, la sfida vera non consiste certamente nella proclamazione della "vittoria", ma in un risultato meno eclatante ma più complicato da ottenere, e cioè lasciare in piedi delle democrazie "sostenibili", in grado di resistere alla destabilizzazione interna ed alle mire di egemonia regionale di altri attori, in primo luogo l’Iran.

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