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Grazie Delia

di Maria Silvia Dotta

- Fonte: Città Nuova

Un bar per i migranti, dove trovare aiuti, assistenza, consigli, tè caldo. La vita di comunità. Il boicottaggio. L’amicizia con Silvano Gianti

Delia Bonuomo
Illustrazione di Marta Signori

Delia Bonuomo ha concluso la sua avventura terrena mercoledì 23 ottobre scorso a 61 anni, lasciando una scia di luce, di amore, di donazione che ha illuminato e riscaldato i cuori di tanti in questi ultimi anni, soprattutto dal 2015, quando a Ventimiglia, la sua città, scatta un’emergenza inattesa e impellente: l’accoglienza e l’accompagnamento di centinaia di migranti, in prevalenza dall’Africa ma anche da altre rotte migratorie, che arrivano fino a questa frontiera nel tentativo di oltrepassarla e che, spesso respinti, sono costretti a rimanere nel territorio del comune ligure con mille difficoltà.

La storia di Delia inizia quell’anno, quando invita a entrare e offre un po’ di ristoro ad alcune donne e bambini seduti sul marciapiede di fronte al suo locale, un bar che da 12 anni gestisce proprio a due passi dalla stazione, da quei binari dove ogni giorno scendono decine di persone in cerca di un futuro vivibile. «Quelle donne e quei bambini erano immigrati arrivati da poco in città, senza un euro, solo con tanta fame e tanta sete», scriveva già nel 2018 Silvano Gianti, un altro protagonista indimenticato di questa storia di umanità e di fraternità, che per anni ha condiviso con Delia e gli altri di Ventimiglia fatiche, programmi, viaggi, aiuti.

Dal 2015, grazie al passaparola, il bar di Delia diventa un punto di riferimento per tutti i rifugiati che passano da Ventimiglia, oltre che per i volontari e le organizzazioni solidali. Un bar dove non si trova solo il ristoro di un caffè, di un tè caldo, di un uovo sodo e un pezzo di pane, ma un luogo crocevia di aiuti, di consigli, di assistenza, di semplici lezioni di italiano, di ricerca di coperte e indumenti, di pannolini e giochi per i bimbi; un riferimento forte per tutti quelli che vogliono fare vincere in questa realtà, spesso fredda e disumana, uno spiraglio di umanità.

Un riferimento forte per tutti quelli che vogliono fare vincere in questa realtà, spesso fredda e disumana, uno spiraglio di umanità.

Diventa una tappa fondamentale anche per tanti giovani venuti da tutta Italia, come quelli accompagnati da padre Alessio, comboniano, che porta qui i suoi gruppi a constatare e sperimentare cosa può fare sul piano sociale un amore vero. «Tutti abbiamo diritto a un futuro migliore. Se i residenti dicessero a questi ragazzi anche solo “buongiorno”, basterebbe già quello a cambiare le cose»: questa l’anima, l’atteggiamento, lo stile di vita di Delia.

Ma naturalmente, come tutte le cose coraggiose, la sua esperienza provoca incomprensione, ostilità, minacce ed ostacoli a tutti i livelli; a poco a poco il suo bar viene disertato dai cittadini di Ventimiglia che non tollerano questo viavai di persone, a loro dire pericolose e non gradite. Per lei la strada inizia a farsi “in salita”: i clienti abituali spariscono, scelgono altri bar, le difficoltà economiche non si fanno attendere e anche la salute ne risente. Ma Delia non molla. La sua esperienza di giovane migrante in Australia insieme alla sua famiglia l’ha resa particolarmente sensibile e attenta; mettersi nella pelle di queste persone disperate e sole non è uno sforzo per lei. Da qui scaturisce la sua tenerezza, ma anche la sua risolutezza e la sua determinazione nel mettere sempre, prima di ogni cosa, la persona e i suoi diritti.

Racconta don Rito: «Ricordo esattamente il momento in cui mi sono reso conto della grandezza di Delia; ero venuto alla stazione ad accogliere alcuni conoscenti che venivano in città. Appena arrivati ho proposto loro di offrire un caffè e di accompagnarli al bar di Delia; quando si sono resi conto di quale bar si trattava, mi hanno detto fermamente: “No, qui non entriamo”». L’impopolarità e le critiche non le impediscono di continuare a svolgere quel servizio di amore concreto e quotidiano verso gli ultimi, senza aspettarsi niente, con il coraggio di chi sa di stare dalla parte giusta.

Delia nel “suo” bar, con i “suoi” clienti.

Uno scricciolo di donna – l’ha definita qualcuno –, che affronta tutti, senza farsi intimidire: vigili, funzionari dell’ASL, rastrellamenti della polizia, denunce. Come quando tiene testa agli agenti della Digos che con modi non troppo moderati entrano nel suo bar per controllare i presenti o quando si oppone alle “strane manovre” di alcune persone nei confronti di alcune donne sole, a rischio di adescamento. A questi uomini piuttosto minacciosi e senza troppi scrupoli, individuati da lei con il suo intuito di “madre”, intima: «Tu vai fuori, a loro ci penso io!». Nel retro del bar il venerdì, giorno di mercato e di grande affollamento a Ventimiglia, soprattutto dalla Francia, le donne sono aiutate a vestirsi all’occidentale in modo da confondersi più facilmente con le persone che transitano al confine.

Adum, giovane sudanese arrivato a Ventimiglia nel 2016, e rimasto in Italia dopo essere stato respinto alla frontiera, ricorda con gratitudine e affetto Delia; è stato lui con altri della prima ora a chiamarla Mamma Africa; la porta sempre aperta del suo bar è stata per lui e per tanti l’accesso ad una speranza di vita, ad un’esperienza di famiglia che gli fa dire: «Non mi sono mai sentito straniero». Ora è mediatore culturale e lavora alla Caritas di Ventimiglia.

La porta sempre aperta del bar è stata per Adam, e per tanti, l’accesso ad una speranza di vita, ad una esperienza di famiglia.

La ricordano con stima e riconoscenza infinita i volontari, giovani ed adulti, delle varie associazioni ed enti che in quei lunghi mesi hanno collaborato in questa esperienza: Medici Senza Frontiere, Caritas, Terres des hommes, Chiesa Valdese, collettivo No Border, progetto 20K, associazione Penelope, Oxfam, UNICEF. «Una volta alla settimana metteva a disposizione una delle sale del suo locale a tutti noi delle associazioni dove ci riunivamo e ci coordinavamo», racconta Lucia, una di loro.

Sono proprio loro, le realtà civili, sociali ed ecclesiali che Delia ha saputo mettere in rete, che si mobilitano per sostenerla, organizzare raccolte fondi ed affrontare le spese che si fanno sempre più pressanti. Ma ad un certo punto arriva la chiusura dell’attività, anche per le condizioni di salute che 9 anni di trincea hanno reso precarie. Eppure Delia non rimane sola; la generosità e la dedizione vissute verso tutti le ritornano come un boomerang in mille occasioni: l’accompagnamento a numerose visite mediche, l’assistenza a casa di un’infermiera, i servizi necessari a chi deve dipendere in tante cose dagli altri sono il grazie concreto e fedele di tanti nei suoi confronti.

Gli ultimi mesi li passa in ospedale ad Imperia, con la dignità che l’ha sempre caratterizzata, assistita con affetto indescrivibile dai ragazzi No Border della città. Daniela ricorda uno degli ultimi messaggi vocali in cui Delia esprimeva la sua gioia alla notizia di una famiglia che era riuscita a passare la frontiera. Se il suo fisico era stremato, il suo cuore vivo e palpitante era lì, con i suoi migranti, sul confine…

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