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Cultura > Suicidi

Danza sul vuoto

di Michele Genisio

Dati allarmanti: oggi il suicidio è considerato una delle tre principali cause di morte fra gli individui di età compresa tra i 15 e i 44 anni, di entrambi i sessi. Non ultimo don Matteo Balzano, il giovane sacerdote di Cannobio, che è stato trovato morto nella oratorio prima della messa

Secondo i dati disponibili, nel 2024 sono morte circa 233 mila persone a causa dei conflitti bellici che affliggono il pianeta. Il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale. Nello stesso anno l’OMS stima che ci siano stati circa 726 mila i morti per suicidio. Più di tre volte i morti per guerre. Senza contare i tentati suicidi, che sono in numero venti volte maggiore. È come una guerra silenziosa. Che passa in sordina. Negli anni passati il divario era ancora più accentuato, 6 o 7 volte tanto, sia per il più basso numero di morti in guerra, sia per il maggior numero di suicidi, che superava il milione di vittime. Numero diminuito grazie alle campagne di prevenzione. Oggi il suicidio è considerato una delle tre principali cause di morte fra gli individui di età compresa tra i 15 e i 44 anni, di entrambi i sessi.

Il 17 agosto 1950, lo scrittore Cesare Pavese annotava: «Nel mio mestiere dunque sono un re. In dieci anni ho fatto tutto. Se penso alle esitazioni di allora. Nella mia vita sono più disperato e perduto di allora. Che cosa ho messo insieme? Nulla». Pochi mesi prima, prostrato dal fallimento della relazione sentimentale con Costance Dowling, scriveva: «Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela la nostra nudità, miseria, inermità, nulla». Poi, la notte fra il 26 e 27 agosto, moriva suicida in una stanza d’hotel a Torino, per aver assunto grandi dosi di sonnifero.

Il suicidio è un fenomeno complesso. Il filosofo e psichiatra Karl Jasper affermava che può nascere nel contesto di situazioni psicopatologiche, ma generalmente non risiede solo in queste. Chi vuole spiegare il suicidio si trova di fronte ad abissi di interiorità difficili da decifrare. Perché uno si suicida? Spesso è un segreto che non è dato sapere. Un parola che ricorre negli ultimi scritti di Pavese potrebbe lasciare un flebile indizio: nulla. Il nulla sembra essere lo spettro che ha terrorizzato, inghiottito, e a modo suo ammagliato, tanti di coloro che si sono dati una morte volontaria. Il nulla, nel quale Meister Eckahrt e altri mistici cristiani e di altre religioni hanno visto l’essenza più intima di Dio, la luce più pura. Proprio quel nulla si manifesta al potenziale suicida nella sua forma più sconcertante: quella del vuoto. La vita viene percepita come un’insensata danza sul vuoto. Tutti siamo chiamati a confrontarci con il vuoto. È un confronto a cui siamo obbligati quotidianamente per la nostra stessa condizione di umani, di esseri sospesi tra il cielo e la terra. Ma chi si lascia terrorizzare dal vuoto, di solito segue una delle due alternative: o si impegna ad archiviarlo come qualcosa di fastidioso, conducendo una vita apparentemente soddisfacente, ma in realtà superficiale e misera; o si concede ad esso, lasciando che contagi piano piano ogni cellula, ogni neurone del corpo, ogni sospiro dell’anima, portando così a vivere un’esistenza da cadavere che respira. Per decidere poi un giorno di formalizzare lo status, compiendo il gesto estremo.

Van Gogh era assetato d’amore, dell’amore per una donna. Una donna che lo amasse con la stessa intensità di cui lui era capace. Probabilmente il suo desiderio d’amore aveva tratti psicopatologici. Ma era pur sempre desiderio d’amore. Che non ha mai trovato appagamento. Per questo si è sparato al ventre. C’è contrasto sulle ultime parole che disse al fratello Theo, prima di morire. C’è chi afferma che disse: «La tristezza durerà per sempre»; chi invece: «Ora vorrei ritornare»; chi invece: «Voglio andare via». Via. Verso il cielo, come i corvi neri del suo ultimo dipinto. È più poetica questa versione. Più consona a lui.

Lasciando stare i nomi celebri, da Marylin Monroe a Hemingway, la questione del suicidio ai nostri giorni assume aspetti inquietanti soprattutto per quanto riguarda i giovanissimi. Figli o nipoti che a volte paiono personaggi misteriosi, perché molti di loro si formano, più che in famiglia o a scuola, nella tana segreta e inaccessibile del web. E proprio nel web ci sono siti allarmanti che pubblicano video di suicidi o incitano a sfide estreme. Hoshi, una ragazzina giapponese, appoggia il telefonino a terra per riprendersi mentre si lancia dal balcone. Quello che una volta era una tormentata scelta solitaria, diventa una performance che qualcuno condividerà nei social. Che qualcuno vorrà imitare. Tutto gratis, accessibile a tutti.

Di fronte a questa guerra nascosta del suicidio, cosa fare? Non servono manifestazioni, come quelle per la pace. Neppure bandiere. Occorre l’intervento di professionisti ed educatori. Ma una cosa la possiamo tentare di fare tutti: imparare a convivere con il vuoto. Imparare ogni giorno a vivere come una foglia di loto sospesa sull’acqua, e non temere le possibilità sconosciute del profondo. Ricordati di vivere, canta Jovanotti. Occorre imparare a sorridere al vuoto ogni mattina, a far colazione con lui, a non scacciarlo come un mostro ripugnante, ma parlargli come a un amico caro. Per scoprire che proprio in esso c’è il segreto della nostra umanità. Che in esso c’è il segreto di Dio. Che dietro di esso si aprono paesaggi impensati. È questa l’esperienza bellissima che fa chi vive per davvero. È questa l’esperienza che si deve di trasmettere ai giovanissimi. Loro la attendono.

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