Dalla cultura africana, una politica africana

Emmanuel Mutyaba

Nel suo articolo L’Africa di oggi tra opinioni, sfide e speranze, il prof. Martin Nkafu giustamente sostiene che:         

Il continente africano è oggi in primo piano a causa dell’agitazione politica e della situazione economica insostenibile; il sistema economico che vi è stato introdotto dall’esterno, infatti, è inappropriato per la cultura africana centrata sulla condivisione.


Anch’io penso che molti dei problemi in Africa oggi sono causati dalla crisi terribile della politica. Questo è dovuto al fatto che la politica praticata in Africa dall’avvento del colonialismo fino ad oggi, non è africana. Il Popolo africano non si sente realizzato in quel tipo di politica, neppure coloro che la praticano. Questo è in parte dovuto al fatto che i nostri politici sono stati formati da un sistema di educazione che non ci appartiene come popolo africano; il sistema di educazione seguita in Africa non è indirizzata per servire Africa ma l’Occidente. Il professor Nkafu giustamente nel suo Articolo attacca il sistema educativo in Africa dicendo che

      

tale modello non è concepito per gli africani, non è basato sulla cultura africana in vista di un suo sviluppo, bensì sul modello educativo, economico, e politico della cultura occidentale (p. 331).


Sono perfettamente d’accordo poiché, secondo la mia osservazione, anche tutti gli studi che facciamo in Africa sono stati progettati sulla mentalità occidentale. Questo spiega perché gli africani che hanno studiato cercano di ragionare e comportarsi come gli occidentali, alcuni addirittura parlano inglese, francese, spagnolo o portoghese nelle loro famiglie; essere alfabetizzato è sinonimo di essere occidentalizzato in Africa; ed è uno dei fattori che ha eroso l’identità africana.     

Questo tipo di educazione porta un africano educato a pensare che comportarsi in modo africano significhi essere primitivo, nel senso di essere indietro. Ciò dimostra l’urgenza di una ri-strutturazione del curriculum accademico africano, progettandolo in modo da de-colonizzare la mente africana, e così procurarsi e garantire una rispettabile vera identità africana sulla base delle nostre conquiste storiche (historical archievements). È solo in questo modo che noi africani avremo il sostegno psicologico di cui abbiamo bisogno per poter affrontare lo sviluppo politico, economico, sociale e accademico necessario per l’Africa. Lo sviluppo non significa abbandonare la propria cultura e assumere quella degli altri, ma consiste nello sviluppare la propria cultura confrontandosi con quella degli altri.       
Lo sviluppo deve essere realizzato in tutte le dimensioni dell’attività culturale, piuttosto che portare ad un abbandono della propria cultura e all’assimilazione di un’altra. La cultura non è mai statica, è dinamica quindi si sviluppa. Un europeo è europeo, un americano è americano, perché un africano non dovrebbe essere l’africano piuttosto che un africano europeizzato? Come una nuova capanna è costruita con bambù vecchi, così una nuova Africa non può essere costruita senza un ritorno alla sua radice (saggezza tradizionale). A meno che non torniamo alle origini, non potremo mai superare i nostri problemi in Africa contemporanea (la povertà e tutte le sue conseguenze) causati dai sistemi di politiche imperiali portate dai colonialisti, sostenuti dagli attuali leader politici africani che seguono sistemi politici non adatti per l’Africa.

Similmente al professor Nkafu, sottolineo che abbiamo bisogno di una corretta educazione Africa-oriented dalla quale possiamo costruire la politica africana. Credo che una volta che avremo una buona politica, tutto comincerà a muoversi bene. Ma se la politica, intesa nel senso dell’organizzazione dello Stato, è inadeguatamente organizzata, tutte le attività dei vari settori interni agli Stati africani (in campo scientifico, economico, socio-antropologico, etico, religioso, accademico, ecc.) non serviranno a migliorare le vite dei cittadini africani: saranno dominati dai regimi dittatoriali e quindi deficitariamente gestiti. La politica diventa cattiva (non etica) se abbandona i valori culturali tradizionali della società in cui è praticata; e i valori culturali si trovano nella tradizione di quella comunità e dovrebbero essere trasmessi di generazione in generazione, per mezzo di pratiche, proverbi, racconti popolari, canzoni e, nella nostra epoca, possono anche essere trasmesse per mezzo di uno studio ben elaborato nelle scuole e nei libri scritti. Il professor Nkafu spiega:

 

Questa struttura è stata sostituita dal sistema occidentale democratico, tramite l’introduzione dei comuni, delle province, delle regioni, delle divisioni, dei dipartimenti di Stato; un sistema che rende provvisorio e limitato nel tempo il governo tradizionale, compromettendo così il carisma del governo proprio dei re africani, fortemente collegato all’intervento divino nella storia da parte della mediazione ancestrale. In tal modo il potere del governo – che dev’essere un servizio al popolo – perde il suo punto di riferimento e il suo stesso valore (p. 332).

           
Certamente il colonialismo, con la conferenza di Berlino del 1884-1885, che ha suddiviso la terra Africana ponendo l’Africa sotto il pieno controllo dei governi europei, ha inquinato moltissimo la tradizione africana. È triste che i leader politici locali (africani) dopo l’indipendenza non si sono interessati di ricostruire la cultura africana, ma hanno assunto i principi politici coloniali che fino ad oggi continuano a rovinare anche il poco della cultura africana che era sopravvissuto al colonialismo. Secondo il professor Nkafu,

 

Gli intellettuali, gli accademici e i politologi africani sono chiamati a formulare proposte sociali, economiche e politiche consone alla propria cultura e alla propria identità (p. 332).

 

Credo che questa richiesta possa essere realizzata perché la tradizione africana e la sua etica politica possono essere ritrovate visto che ci sono ancora le tracce; la cultura africana è ancora viva, per esempio nei proverbi africani. Un contributo a de-colonizzare la mente africana può venire attraverso l’interpretazione di proverbi africani, in base ai segni del tempo di oggi; e da qui, poi, si potrà arrivare a costruire la politica contemporanea in Africa che nasca dalla saggezza africana, vale a dire si potrà arrivare ad una politica che sia Africana.         
La politica importata dalla cultura occidentale si è rivelata disastrosa in Africa, perché ha eliminato la cultura africana, che è il modo di vivere più adatto, per le persone della zona geografico-strutturale di questo mondo chiamato Africa.

La politica ha a che fare con l’organizzazione del modo di vita di una data società che non necessariamente è adatto per un’altra comunità; la politica è situazionale. Quindi dovremmo smettere di pensare ad un tipo uniforme di politica a livello globale. La politica è una pratica culturale, cioè varia da cultura a cultura. Il confronto/incontro tra culture diverse deve essere rivolto al miglioramento delle culture che si incontrano, non al predominio di una cultura sull’altra o all’assimilazione dell’una all’altra.


Secondo la mia osservazione, anche la concezione delle idee o concetti universali è legata almeno in parte all’interpretazione culturale di un dato momento nella storia. Non si può pensare che una cultura imponga la propria interpretazione alle altre, in modo tale che da essa si tragga un sistema politico universale. Ad esempio l’idea dei diritti umani universali è intesa in modo diverso da cultura a cultura. Una cultura che valorizzi la comunità come la virtù sovrana ha una prospettiva comunitaria dei diritti umani (come i diritti umani africani). Invece, nella prospettiva occidentale si pone il valore politico della libertà sopra tutti gli altri, tendendo ad avere una considerazione individualistica dei diritti umani.        
Tornando all’idea dei Proverbi, essi esprimono uno stile di vita adatto per un certo gruppo di persone, dato che costituiscono la saggezza culturale di queste persone. Per l’intelligenza sappiamo “cosa” è la vita, ma è dalla saggezza che sappiamo “come” vivere. La saggezza di un dato popolo si esprime attraverso i suoi proverbi e i miti. Credo che il modo di vita adatto ad una data comunità, debba essere tracciato dai suoi proverbi e miti. E anche la politica deve emergere dalla saggezza con cui quel popolo vive. Ciò richiede una lettura attenta dei proverbi.

Noi africani eravamo organizzati politicamente in regni autonomi. Ma la politica importata dall’Occidente, ci ha amalgamato in nazioni, dove alcuni leader tradizionali hanno dovuto cedere il potere con la forza, sostituiti da un leader della nazione che non era neanche (in molti casi) appartenente al lignaggio reale. I concetti politici occidentali di giustizia, leadership, autorità, i metodi di problem solving, non sono in grado di conciliare questi diversi regni amalgamati per forza esterna in nazioni: questo ha dato luogo a conflitti, guerre e genocidi.         
Non sto sostenendo una ri-strutturazione dell’organizzazione politica africana in regni, ma mi riferisco alla costruzione di una nuova politica africana, che sia puramente africana, in cui gli africani possano sentirsi realizzati; una politica in grado di applicare il modo tradizionale africano di soluzione del conflitto; il metodo basato sulla riconciliazione e non sulla punizione col carcere, ecc. I sistemi giurisdizionali occidentali non sono riusciti a risolvere i conflitti tribali.
Penso che politiche veramente africane possano garantire la pace nazionale e internazionale e lo sviluppo dell’Africa. Noi africani abbiamo un forte senso della famiglia allargata, il senso di unire le famiglie estese in clan e di unire clan in tribù (regni). Questo forte senso di solidarietà e unità è espresso, per esempio, in alcuni proverbi della tribù Lomwe; essi dicono che “matata meli / ophora”; significa che due mani lavorano meglio; e “metcho Mili / wetcha Phama”, cioè con due gambe si cammina meglio. Sulla base di questa cultura gli africani possono anche trovare un consenso per passare pacificamente ad una unità più ampia di tribù e popoli, per passare dalle nazioni ad una unità continentale (gli Stati Uniti d’Africa). Noi Africani non siamo persone conflittuali, come invece veniamo fatti apparire dalle visioni politiche importate, che hanno distrutto il nostro valore culturale dell’unità.

Il professor Nkafu conclude il sommario del suo articolo dicendo che

           

È un’occasione per aprire un dialogo sullo sfruttamento delle risorse naturali, sulle crisi istituzionali del Continente, sulla politica interna ed internazionale dell’Africa, sulle migliori forme di cooperazione paritaria con quanti desiderano aiutarla e trarre un reciproco vantaggio dal suo sviluppo.


Ciò richiede con urgenza di costruire una teoria giuridica africana (African cultural juridical system); l’Africa manca ancora di una teoria coerente del diritto africano; un sistema giudiziario, un coerente sistema normativo concettuale africano che dovrebbe essere in forma scritta. Ciò richiede un’attenta interpretazione dei proverbi africani sulla giustizia, la legge e lo Stato, per poter creare una legge più coerente basata sul modello africano di comportamento, di comprensione umana, di filosofia di vita africana. Altro che continuare ad applicare le norme giuridiche mutevoli, importate dall’Occidente, basate sulla concezione occidentale di un umanesimo che definisce una persona umana come sostanza incomunicabile/individuale di natura razionale, mentre l’umanesimo africano insiste sul fatto che una persona è una persona attraverso altre persone. Mentre il primo è individualista, il secondo è comunitario; è una grande differenza con molte implicazioni. Una di esse è che i due gruppi (occidentale e africano) non possono avere lo stesso sistema giuridico e politico.

 


Conclusione

 


L’Africa ha bisogno di avere una politica africana basata sui valori africani. Di conseguenza, le costituzioni degli Stati africani devono essere fondate, tra l’altro, su una Carta di responsabilità fraterna; vi è la necessità di definire un tempo della durata del mandato, non possiamo tornare alla leadership permanente dei re. Vi è la necessità di una forma trasparente e partecipativa di governo che consenta un libero flusso di informazioni fattuali sulle attività dello Stato, e tutte le attività dello Stato devono essere orientate al raggiungimento del bene comune. È necessaria l’applicazione dei diritti umani anche per i prigionieri. Ogni legge e ogni leader politico che non promuova la dignità umana, non è da considerarsi legittimo.        
C’è anche un urgente bisogno di trovare fonti alternative generatrici di reddito, simili all’industria manifatturiera, andando oltre la cash-crop economy che rende l’economia africana stagionale e regolata dalla natura (pioggia o siccità). Infine l’Africa richiede una “ontologico-relazionale” teoria del diritto africano che deve essere rispettata da tutti i politici africani e dalle nazioni straniere che vogliono avere a che fare con noi.

 

 

Emmanuel Musoke Mutyaba, PhD in Filosofia – Pontificia Università Gregoriana,

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