Non sono un analista politico ma la costatazione che l’“ordine” mondiale sinora vigente – per quanto precario, per molti versi squilibrato e insidiato da una strisciante “terza guerra mondiale a pezzi” – sia tramontato, diventa di giorno in giorno più evidente. Sollevando inquietanti interrogativi.
Quali le vere forze in gioco? Quali gli obiettivi che vengono perseguiti? E quali gli scenari che si prefigurano e le conseguenze che se ne possono prevedere?
Una cosa è certa: non si può restare con le mani in mano. Ci è chiesto un soprassalto condiviso di discernimento critico e d’immaginazione profetica.
Senza indugio, occorre attivare cenacoli di risveglio spirituale ed etico e laboratori che sappiano mettere a punto strategie e strumenti culturali e politici d’interpretazione e azione all’altezza della sfida.
L’umanità è di fronte a un bivio. Ciò è capitato molte volte nella sua storia: ma la posta in gioco era limitata, nello spazio e nel tempo, così che le scelte compiute potevano essere ritrattate o per lo meno ridimensionate.
Oggi non è più così. Le scelte che facciamo toccano tutti e sempre più difficilmente sono reversibili. È un fatto: di cui troppo poco abbiamo preso coscienza.
Due immagini, viste in televisione, dicono la situazione e suggeriscono la via d’uscita. La prima è quella che fotografa gli insediamenti nella striscia di Gaza dopo le operazioni di guerra: macerie, macerie e ancora macerie. Tutto distrutto. E le colonne di centinaia di migliaia di persone, uomini e donne, vecchi e bambini, molti coi segni delle mutilazioni subite, che si mettono in marcia e tornano… a casa.
Sì, a quelle poche, disperanti macerie che restano… della loro casa.
Eppure! eppure ecco una seconda immagine che fa a pugni con la prima, ma apre il cuore: giovani, soprattutto giovani, che, tornati a “casa”, issano su quelle macerie una poltrona miracolosamente salvata dai bombardamenti o rimettono in piedi un tavolino con un vasetto di fiori, attorno a cui si siedono per prendere insieme un caffè.
La vita. La speranza. La condivisione. La voglia e la tenacia di ricominciare. Non lo si crederebbe possibile.
Eppure lo è. Come ha invitato a fare papa Francesco nella sua ultima enciclica Ci ha amati: sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza si può costruire la civiltà dell’amore.
Illusione? No! capovolgimento dello sguardo su ciò che viviamo per starci dentro con la speranza che non delude, mai. Perché «abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1Gv 4,16).