Costituzione, è ora di cambiare

Con l’approvazione delle modifiche alla carta costituzionale, ha vinto il fronte del sì. Adesso si andrà alle elezioni parlamentari, ma non mancano polemiche e preoccupazioni
egitto referendum
In ogni caso, è stata una vittoria. Con le votazioni dei giorni scorsi, l’Egitto dell’era post-Mubarak ha affrontato il suo primo referendum costituzionale libero, con un’affluenza del 41,2 per cento della popolazione. Un risultato importante, anche se non ancora “maturo”, che ha contribuito ad offuscare un po’ anche l’oggetto della consultazione popolare: una parziale modifica della costituzione egiziana.

Alla fine, coloro che si erano prodigati per far modificare subito la carta costituzionale hanno vinto con il 77,2 per cento dei voti (14 milioni circa). Tra questi, i Fratelli musulmani, ma anche gli ultimi rappresentanti del Partito nazionale democratico dell’ex presidente Mubarak. Sconfitto il fronte del no, che si è fermato al 22,18 per cento, sostenuto invece dai giovani protagonisti della rivoluzione egiziana, ma anche dal segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, e dall’ex presidente dell’Agenzia internazionale per l’Energia nucleare (Aiea), El Baradei, due dei possibili candidati alle prossime presidenziali, nonché numerose organizzazioni per i diritti umani.

Ma andiamo al cuore delle modifiche proposte ed approvate dalla popolazione e alle motivazioni che hanno guidato i due diversi fronti. Dopo l’allontanamento di Mubarak, il Consiglio supremo militare ha sospeso la Costituzione, nominando un comitato formato da otto giuristi che ha elaborato il nuovo testo proposto alla popolazione. Un passo necessario per poi affrontare le elezioni parlamentari prima, quelle presidenziali dopo.

Coloro che si sono espressi per il sì, hanno scelto, tra l’altro, di limitare il numero di mandati presidenziali a due (ne erano previsti quattro), hanno previsto l’obbligo per il presidente di nominare entro sessanta giorni dall’elezione un suo vice e la supervisione dell’autorità giudiziaria sulle elezioni. Hanno inoltre fatto in modo che, entro breve tempo, sia possibile eleggere un nuovo Parlamento. Una manovra che dovrebbe favorire formazioni già solide, come quella dei Fratelli musulmani, che potrebbero veder crescere di molto il numero di propri deputati, e consentirebbe di chiudere il capitolo dell’amministrazione militare attualmente al potere.

I sostenitori del no avrebbero invece preferito aspettare un lasso di tempo maggiore per organizzare le nuove forze emerse nel corso della rivoluzione, in modo da poter affrontare al meglio il voto, ma anche per limitare il prevedibile successo delle formazioni più legate all’integralismo religioso. Ritengono inoltre importante una riformulazione pressoché completa della Costituzione e sono contrati ad alcune parti del nuovo testo, che ad esempio vieta la presidenza alle donne e preclude la carriera politica a quegli uomini che dovessero sposare una straniera. Puntano anche in tempi brevi all’elezione di un nuovo presidente che possa guidare il popolo in questa fase così delicata per il Paese e solo successivamente alle elezioni parlamentari.

Non sono mancate ombre, con la denuncia di numerosi tentativi di compravendita dei voti in cambio di generi alimentari soprattutto tra i sostenitori del sì. In generale, però, nonostante tanta confusione, anche sull’oggetto stesso del referendum (il Consiglio supremo delle forze armate non figura nella costituzione: come ha potuto, allora, sospendere la carta costituzionale e proporre delle modifiche?), nel Paese è prevalsa l’emozione della novità. Un clima di festa, un entusiasmo grande e tangibile, che ha spinto anche disabili ed anziani ad andare a votare per la prima volta, ignorando le difficoltà di spostamento.

«Adesso – spiega un attento osservatore della realtà sociale egiziana, da noi raggiunto telefonicamente – serve una rivoluzione culturale. Si è parlato tanto dell’importanza della libertà di espressione, ma per tanti versi mi sembra più importante ritrovare la libertà di pensiero. Col tempo, purtroppo, attraverso una forma di dittatura molto sottile, si è riusciti a  inibire la capacità di pensare: ancora adesso per tanti Mubarak era un “buon dittatore”, che ispirava fiducia e garantiva sicurezza nel Paese e stabilità nella regione. Ecco perché adesso regna un gran disorientamento: dobbiamo imparare a ragionare di nuovo con la nostra testa».

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