Due recenti sentenze del Consiglio di Stato hanno annullato le nomine, effettuate dal Consiglio Superiore della Magistratura, del primo presidente e della presidente aggiunta della Corte di Cassazione. In merito a quanto accaduto tra gli alti vertici della magistratura, c’è chi si appella alla “prudenza” e al “ritegno” come Vladimiro Zagrebelsky secondo il quale “i rapporti e le competenze di organi di vertice nella architettura dello Stato” meriterebbero maggiore prudenza più che “astratte considerazioni giuridiche“.
Ricordo, anzitutto a me stesso, che la norma giuridica (cioè ogni regola che disciplina la vita organizzata di una società e che rientra nell’insieme di regole denominato ordinamento giuridico) è caratterizzata oltre che dall’imperatività, dall’astrattezza e dalla generalità. Astrattezza significa che la norma non è dettata per una situazione concreta bensì per ipotesi astratte appunto; generale significa che la norma non va dettata per singoli individui ma per tutti i cittadini. Generalità ed astrattezza pertanto, sono caratteristiche della norma giuridica che hanno la funzione di garantire l’eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini che si trovano nella medesima situazione.
La mia analisi di partenza non può che essere giuridica quindi, iniziando dalla norma, o meglio, dalla Costituzione ove gli articoli 87, comma decimo, e 104, comma secondo, attribuiscono al presidente della Repubblica la Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).
Il CSM, quale organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ordinari, ha rilevanza costituzionale in quanto espressamente previsto dalla Costituzione, che ne delinea la composizione (art. 104 Cost.) ed i compiti (art. 105 Cost.); tale organo adotta tutti i provvedimenti che incidono sullo status dei magistrati (dall’assunzione mediante concorso pubblico, alle procedure di assegnazione e trasferimento, alle promozioni, fino alla cessazione dal servizio).
Al fine di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dal potere legislativo e da quello esecutivo, il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica che ne è membro di diritto al pari del primo presidente della Suprema Corte di Cassazione e del procuratore generale presso la stessa Corte.
Gli altri componenti, il cui numero è stato fissato in ventiquattro dalla legge n. 44 del 2002, sono eletti per 2/3 da tutti i magistrati ordinari e per 1/3 dal Parlamento riunito in seduta comune; la carica elettiva ha la durata di quattro anni, con divieto di immediata rieleggibilità.
I rapporti del CSM con il Governo sono improntati ai principi dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Ordine Giudiziario e coinvolgono in special modo i profili collegati all’organizzazione e al buon funzionamento dei servizi relativi alla giustizia; anche i rapporti con il Parlamento sono improntati ai principi dell’autonomia e dell’indipendenza e l’unica forma di interlocuzione è costituita dalla facoltà per il CSM di inviare al Parlamento, tramite il Ministro, una Relazione annuale sullo stato della giustizia, segnalando problemi e avanzando proposte.
Da quanto sopra descritto, si comprende che nel CSM hanno un ruolo chiave non solo le nomine e gli incarichi direttivi della magistratura, ma la stessa composizione di detto Consiglio ha un rilievo fondamentale, soprattutto al fine di garantire l’armonia funzionale tra le diverse istituzioni dello Stato.
Gli atti del CSM hanno natura amministrativa e come tali possono essere impugnati davanti al Tribunale amministrativo e, in appello, al Consiglio di Stato; ma questi atti amministrativi hanno una caratteristica peculiare, perché sono caratterizzati da una certa dose di discrezionalità da parte di coloro che compongono il CSM; certo, viene da chiedersi quanto incida, su questi margini di discrezionalità, l’influsso delle correnti politiche interne al CSM.
Certo, come ben osserva Vladimiro Zagrebelsky “ il giudice amministrativo non può sostituire la sua valutazione discrezionale a quella del Csm” in quanto la competenza nelle nomine spetta a questo Consiglio e non al giudice amministrativo che ha “solo” il dovere di controllare la conformità di dette delibere del Csm rispetto alla legge e ciò, se mi è permesso, va ben oltre “l’orientamento di ciascuno nel vasto campo della interpretazione e applicazione delle leggi” richiamato da Zagrebelsky.
Ma senza nulla togliere all’ “apprezzamento dei diversi consiglieri, dei gruppi associativi che hanno espresso le liste elettorali ( per i magistrati) o dell’origine politica ( per i membri laici)” (sono sempre le parole di Zagrebelsky tratte dall’articolo “Così legislatore e Consiglio di Stato snaturano il Csm, Vladimiro Zagrebelsky, La Stampa, 18 gennaio 2022 ), l’indagine del giudice amministrativo deve compiersi nel pieno rispetto del principio di legalità che deve valere per ogni singolo cittadino e, quindi, anche per gli organi di vertice dello Stato, salva l’eccezione di cui all’art.7, comma 1 del Codice del processo amministrativo relativo agli atti politici ( che sono esclusi dal sindacato giurisdizionale svolto dai giudici ordinari) nonché quella relativa agli atti legislativi ove il giudicato è rimesso alla Corte Costituzionale.
Quindi, nel pieno rispetto del principio di legalità, anche in caso di atti amministrativi posti in essere dal CSM (seppur nei margini della discrezionalità di questo Consiglio), il giudice amministrativo è chiamato a vagliare se il limite di questi margini è stato effettivamente rispettato (e cioè che la discrezionalità non sia degenerata nel cosiddetto eccesso di potere) e, più precisamente, se siano stati rispettati (anche in punto di motivazione delle delibere del CSM) i criteri della ragionevolezza e della coerenza logica che devono guidare l’attività discrezionale di un decisore amministrativo.
Per dirla in altri termini, ritengo che il Consiglio di Stato abbia operato in maniera cristallina e coerente, limitandosi a vagliare (secondo legge) la correttezza degli atti discrezionali posti in essere dalla pubblica autorità (nella fattispecie il CSM) ed in particolare se i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura hanno rispettato – nel caso concreto in esame relativo alla nomina degli alti magistrati di Cassazione – i canoni dell’idoneità, della razionalità e della logicità della motivazione di questi atti amministrativi, ciò al fine di scongiurare qualsiasi eccesso di potere ( art.21-octies, comma 1 legge n.241/1990).
Perché la legge è uguale per tutti e tutti siamo uguali davanti alla legge ( articolo 3 della Costituzione), magistrati e componenti tutti del CSM compresi.
Il cortocircuito dell’alta magistratura cui abbiamo assistito, peraltro in prossimità dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, è il sintomo che qualcosa non sta funzionando da tempo ormai, e non mi riferisco solo alle procedure che caratterizzano le nomine dei giudici da parte del CSM: il Legislatore dovrebbe rivedere l’intera legge sull’Ordinamento giudiziario e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Aggiungo che, ad ulteriore garanzia dell’equilibrio e dell’armonia tra le diverse istituzioni dello Stato, andrebbero meglio ridefiniti il ruolo e gli spazi di intervento del Ministro della Giustizia, soprattutto nell’ambito dei rapporti (e dei confini, peraltro non sempre così netti e inequivocabili) tra questo stesso ministro ed il CSM.