Scrivo dal mio ufficio nella facoltà di Giurisprudenza a Washington, D.C., in un momento difficile per il mio Paese, sia per l’istruzione universitaria, che per l’impegno di promuovere il rispetto della democrazia e lo Stato di Diritto (rule of law). Eppure, ogni mattina mi alzo con la speranza nel cuore e una forte motivazione a condividerla con gli studenti, i colleghi e la comunità al largo.
Cosa nutre questa speranza? La speranza è mantenuta viva dalla gratitudine per il dono della spiritualità dell’unità, e per le strutture che rendono possibile incoraggiarci a vicenda a viverla in profondità. Ogni giorno sperimento come la vita nella comunità mi aiuti a fare scelte che esprimono un antidoto a isolamento, chiusura e avidità che sembrano consumare molte dimensioni della mia società.
Ricordo un’immagine che Chiara Lubich condivise nel 1995: la nostra vocazione è quella di essere come una fontana in una piazza pubblica, dove chiunque può sedersi, bere, rinfrescarsi e trovare riposo. Dovremmo consolidare le nostre risorse per la formazione e il sostegno, al fine di mantenere e moltiplicare la nostra capacità di essere fontane pubbliche. In questo modo, potremo abbracciare la sfida di condividere il dono vivificante del carisma dell’unità con il nostro mondo assetato.
Una seconda fonte di speranza è quando sperimento come i miei piccoli sforzi quotidiani siano collegati al quadro più ampio dell’Opera di Maria e della vita della Chiesa nel mondo. Infatti, mentre mi immergo negli impegni e nei progetti locali, la mia energia viene dal sentirmi connessa al lavoro più grande per l’unità nel mondo. Sono motivata a vivere la comunione dei beni in modo radicale quando la realtà di essere una sola famiglia diventa visibile, in modo pratico e nell’impegno concreto per il benessere e la crescita vicendevole.
Chiara ha condiviso un’altra immagine dell’Opera di Maria, in cui siamo tutte e tutti tessere vive di un mosaico, responsabili del contributo che siamo chiamati a dare, e al tempo stesso consapevoli dei contributi degli altri in tutto il mondo. Questa immagine può aiutarci a discernere come rafforzare le modalità per aumentare la consapevolezza di lavorare come un solo corpo, anche mentre portiamo avanti progetti locali distinti e pienamente inculturati.
Infine, per me è fonte di speranza avere una missione e un mandato chiari nella vita della Chiesa. In occasione del nostro 60° anniversario, papa Giovanni Paolo II descriveva i membri del Movimento come «apostoli del dialogo, via privilegiata per promuovere l’unità: dialogo all’interno della Chiesa, dialogo ecumenico e interreligioso, dialogo con i non credenti».
Con la crescente polarizzazione e tensione nel mondo, molti ambiti di dialogo sono diventati difficili e complessi. In alcuni contesti, le persone non vogliono rischiare un’associazione con chi si trova in un altro schieramento, per paura di essere emarginate dal proprio gruppo. Ma per me, l’impegno al dialogo è diventato “la collina su cui sarei disposta a morire”, un valore fondamentale per cui combatterei anche a costo personale. Morirei su questa collina perché credo che sia qui che Gesù Abbandonato, il mio Sposo, mi chiama a vivere e lavorare. Come dice la canzone di Gen Verde, On the Other Side, «dove c’è un ponte da costruire, lì è il nostro posto».
Sono orgogliosa dei passi che le nostre comunità hanno compiuto negli ultimi anni per approfondire il dialogo, anche quando comporta sostenere tensioni, punti di conflitto e aree di forte disaccordo.
Teniamo lo sguardo fisso su orizzonti di dialogo ampi e vasti, via privilegiata per promuovere l’unità nel mondo di oggi. E dove le nostre comunità faticano a rispondere, imploriamo lo Spirito Santo di illuminare i sentieri che ci riporteranno “dove è il nostro posto”, e di aprirci alla grazia risanatrice del carisma.
Siamo solo all’inizio dei disegni di Dio per manifestare il carisma dell’unità, e come esso contribuisce ad illuminare larghezza, lunghezza, altezza e profondità dell’amore di Dio per il mondo (cfr. Ef 3,18). Nello spirito del Giubileo della Speranza, riuniamoci nella consapevolezza dell’“immensa bontà” già all’opera anche attraverso il carisma, per discernere come l’Opera di Maria possa rispondere «alla sete del cuore umano bisognoso della presenza salvifica di Dio» (Francesco per il Giubileo).