Gianni di Gregorio, o della leggerezza.
Come una carezza scanzonata, il suo cinema si posa sulla vita. Avvolge le dinamiche affettive e relazionali con pudore, senza sminuirle, rendendole materia centrale del suo impasto. Le osserva con animo ironico, giocoso, eppure le narra seriamente.
Verso i rapporti umani che stancano, ma nutrono, il regista non è mai rancoroso, nemmeno cinico. Rimane affettivamente disponibile, osservatore onesto e poetico, partecipativo con gustosa e densa semplicità, alle dinamiche che intorno a lui, coinvolgendo e sballottandolo, si sviluppano.

Greta Scarano e Gianni Di Gregorio (ph Francesco Gallo)
Con vitalità malinconica, velatamente affabulata, il cinema di Gianni Di Gregorio sa volare sugli impedimenti, sui pesi, sullo stare insieme impegnativo. Sul tempo che passa, sulla quotidiana complessità del vivere. Lo fa passeggiando spesso per Trastevere, il suo quartiere fermo e gustoso come un buon bicchiere di vino. Da lì parla di esseri umani. Dal basso, nel suo piccolo, umilmente, a modo suo, col suo tocco inconfondibile. Di pennellate fresche, dolci, personali, preziose perché nuove, nel cinema italiano e non solo, nel senso di distanti, diverse da tutto il resto, anche se Gianni Di Gregorio lo conosciamo da diversi anni, dal gioiellino che fu Pranzo di Ferragosto. Anno 2008. Realizzato magicamente all’età di 60 anni. Esordio surreale e al tempo stesso delizioso.
Tutto riprende a respirare ora, nel nuovo Come ti muovi sbagli (a Venezia, Giornate degli Autori, e in sala dal 5 settembre): sesto film scritto (con Marco Pettenello) e diretto dall’autore romano. Film nel quale, come sempre, Gianni mette il suo corpo misurato, calmo, nel cuore della scena. Ma senza mai abusarne, cercando di continuo compagnia e ricchezza negli altri personaggi. Rispettandoli, scolpendoli senza fretta, parlandogli con voce robusta e dolce, soffiata, con accento capitolino pastoso, portatore di più punti interrogativi, sullo stare al mondo, che esclamativi.

Scena da “Come ti muovi sbagli” (ph Francesco Gallo).
Di Gregorio pone la sua delicata sostanza, stavolta, nel contenitore di un ex professore in pensione, in equilibrio, tutto sommato confortevole, tra il bar sotto casa, lo studio in legno ordinato ed elegante, un sorso di buon bianco, il domestico brontolone, paradossale nei toni autoritari, un’amica che forse lo vorrebbe come compagno (Iaia Forte) e un saggio da scrivere – senza fretta – sui longobardi. Una discreta comfort zone, insomma, solo che la vita capita mentre uno fa progetti, per quanto placidi e tramontanti possano essere, e l’iniziale calma romana viene d’improvviso sostituita da una tempesta d’origine germanica. Da lì, infatti, sta marciando verso Sud una macchina con a bordo sua figlia Sofia (Greta Scarano) coi due vivaci nipotini: l’appena adolescente Olga (l’Anna Losano già vista nella fiction Fuochi d’artificio) e il più piccolo Tommaso. Il motivo? La crisi coniugale, a quanto pare irrisolvibile, della donna col marito tedesco. Il che, seppure il professore provi ad ammantare gli eventi di sospirata disinvoltura, significa avere in casa, a tempo indeterminato, un insolito rumore di fondo e tanto movimento, più lavoro e tanta imprevedibilità.
Il film diventa questo, dunque: la storia di un uomo che si riscopre nonno impegnato a tempo pieno e finisce in una centrifuga di impegni, con imprevisti ulteriori che si aggiungono. Arriva persino un cane che sembra un lupo, e forse lo è, a stravolgere la vita di un uomo tendente all’incasso e ad accettare con irresistibile aplomb le disavventure che gli capitano, con inconfondibile sapore comico.
Tutto il resto è Di Gregorio, coi suoi dialoghi non scontati, anzi, la sua capacità di racconto, l’autobiografia latente che scorre piacevolmente tra i suoi film. Quella degli autori, di chi piega il cinema alla propria personalità, alla propria indole, ai propri sentimenti e paure, e per questo arriva, tocca lo spettatore muovendo la sua emotività, offrendogli qualcosa.
Stavolta il rinnovato consiglio, tra le righe, che gli affetti vicino, le persone care nella propria vita, valgono più del piacere di una vita del tutto sotto controllo. Di quelle no alarms and no surprises.