Come il cinema racconta la tv

La storia del nostro Paese raccontata attraverso le immagini dei tanti film che, dal 1954 a oggi, mostrano la televisione che dilaga, ruba spettatori al cinema, entra in rapporto con la politica, abusa della pubblicità. Una tv piena di difetti e di bizzarrie perfette pur di alzare gli ascolti
Mike e Totò

Da subito, il cinema italiano ha raccontato la televisione: da quel 1954 in cui lei nacque. Ancora in fasce, eccola in Un americano a Roma, con Nando/Alberto Sordi che disturba un servizio televisivo. L'anno dopo Fellini la mostra accesa ne Il bidone, e nel '56 rieccola in Totò, Peppino e i fuorilegge e in Totò Lascia o raddoppia?.

 

Nelprimo,il grande comico se la spassa in un locale di varietà dove il presentatore annuncia: «Affidiamo alla televisione le immagini della serata: entriamo in trasmissione televisiva diretta». Il secondo è un omaggio al primo telequiz italiano: “Lascia o raddoppia?”, con Totò che rimbambisce Mike Bongiorno facendolo finire dentro la cabina. «Ma che mi fa fare? – esclama il conduttore ritornato in sé – E' lei che deve entrarci, non io!».

 

Alla fine Totò vincerà, al contrario di uno dei protagonisti di C'eravamo tanto amati, il film di Ettore Scola che nel '74 racconta nuovamente “Lascia o raddoppia?”, dove l'ex partigiano Nicola avrà solo una Fiat 600 come premio di consolazione. Totò lascia o raddoppia? è nato per far ridere; la commedia di Scola è una riflessione amara sull'Italia del dopoguerra e la disfatta di Nicola simboleggia la sconfitta di chi combatté immaginando un futuro per certi versi mai raggiunto.

 

In C'eravamo tanto amati si vedono città deserte durante il programma, segno di come in pochi anni fossero cresciuti gli abbonati e la gente si accalcasse nei bar o nelle case di chi possedeva un apparecchio. In Totò lascia o raddoppia? al barcisi divide sui pronostici di vittoria di Totò, mentre in C'eravamo tanto amati Antonio (Nino Manfredi) segue la puntata da una trattoria.

 

La storia del cinema italiano è piena di gruppi di persone davanti alla tv: c'è la pasticceria di Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi (1960), con Totò che condivide coi clienti l'emozione di vedere sua figlia sullo schermo, e c'è il bar de Il vigile di Luigi Zampa (1960), gonfio di persone che guardano l'altro telequiz del tempo: “Il musichiere” raccontato già in Domenica è sempre domenica (1958).

 

Intanto i televisori dilagano: nel film La cuccagna di Luciano Salce (1962), un uomo davanti ad alcune baracche dice alla donna che è con lui: «Tutte con la televisione. Vede le antenne? Il bagno non sanno nemmeno cosa sia». Il film fotografa in controluce gli anni del “boom” e polemizza con la tv anche quando una famiglia sospende ogni discussione davanti alla sigla dei programmi: «Zitti!» dice il capofamiglia, poco prima che due episodi de I mostri di Dino Risi (1963) raccontino una tv che rimbambisce e rende vanitosi.

 

In L'oppio dei popoli, Ugo Tognazzi ha una moglie bellissima, ma è troppo preso da un telefilm per ricordarsene. Mentre in casa entra l'amante della donna, lui si gusta lo spettacolo e agli altri basta calcolare la durata della fiction. «Che ti sei persa» dice il marito quando torna dalla moglie.

 

Nell'episodio Il testamento di Francesco, Vittorio Gassman è al trucco in uno studio televisivo, insoddisfatto del lavoro del truccatore: si scoprirà essere un frate che predica contro la vanità in una rubrica religiosa.

 

La televisione ruba pubblico al cinema, ne modifica i gusti e i registi protestano: Fellini con La dolce vita (1960),mostra una Rai che spettacolarizza un finto miracolo e più tardi con Giulietta degli spiriti (1965), la crisi della protagonista è sottolineata da personaggi che da uno schermo la deriderono.

 

Nello stesso anno, l'episodio de I complessi, Guglielmo il dentone, racconta di un aspirante lettore di Tg che canticchia con le Kessler in ascensore, ma dietro l'aspetto più allegro del piccolo schermo c'è la mediocrità dirigenziale, visto che Guglielmo (Alberto Sordi) seppur colto e spigliato, viene ostacolato in tutti i modi per la sua vistosa dentatura, e riesce a farcela solo dopo mille trappole schivate, conquistando quegli italiani che nel frattempo stanno familiarizzando con le facce dei politici.

 

Nel '60 c'è “Tribuna elettorale” e ilcinema italiano lo racconta con Gli onorevoli (1963), dove un politico invitato in video si imbatte in un pazzo che vuole truccarlo. L'onorevole è restio, ma questi gli parla di un politico che per non farsi truccare perse 850.000 voti: «E va bene – risponde l'onorevole – mi trucco!», prima che un dirigente faccia sospendere il programma quando vede come è stato combinato il povero politico, che però lancia lo stesso i suoi slogan infilandosi tra le ballerine di un'altra trasmissione.

 

E' l'inizio di un rapporto tra tv e politica che crescerà nel tempo, ben riassunto da Fantozzi che sotto elezioni si ingolfa di consigli televisivi sul voto. Anche i protagonisti di Vogliamo i colonnelli di Mario Monicelli (1973) tentano di occupare la Rai nel loro maldestro tentativo di colpo di stato, ma trovano chiusa quella televisione in cui la pubblicità arriva quasi subito, all'inizio garbata e gentile, con personaggi indimenticabili, ovvero “Carosello” in onda tutte le sere dal '57 al '77, con piccoli sketch in cui c'è tutta la pubblicità della giornata.

 

Il cinema lo racconta con un episodio del film Ro.Go.Pa.G. (1963): Il pollo ruspante di Ugo Gregoretti, dove Ugo Tognazzi è un consumatore sempre in competizione con chi ha più di lui: auto più potenti, case più grandi, televisori più moderni. Ha comprato un nuovo apparecchio, non perché quello vecchio fosse rotto, ma perché ne vuole uno più innovativo. Quando lo accende, però, scopre che “Carosello” sponsorizza già un televisore più moderno.

 

Lo stesso Tognazzi, in La vita agra di Carlo Lizzani (1964), interpreta un pubblicitario televisivo i cui slogan finiscono nei televisori sempre più accesi nelle case, come mostra La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, dove un operaio (Gian Maria Volontè) spende il dopocena guardando passivamente Carosello. Il film è del 1971, il segno di come in quegli anni di contestazione il cinema continui a scattare fotografie impietose al piccolo schermo.

 

L'immagine più forte è quella di Zabriskie Point (1970) in cui un televisore esplode insieme ad altri simboli del consumismo, ma anche Fellini in Toby Dammit (1968), aveva continuato a fustigare la tv, con un attore bombardato di domande banalissime.

 

La commedia non tenta la pace: l'episodio La bomba alla televisione del film Contestazione generale (1970), racconta di funzionari che commissionano a un regista un servizio sulla contestazione: lo vogliono moderno ma vedendolo si spaventano per la riuscita e lo congelano. Dino Risi, nel '68 dirige Il profeta, suun impiegato che ha deciso di vivere da eremita in una grotta, ma la tv lo scova e lo seduce con la popolarità, sgretolando i suoi ideali.

 

Insomma, la tv raccontata dal cinema ha un sacco di difetti, e quando va bene, come mostra La famiglia di Ettore Scola (1987), è usata come strumento per misurare il tempo e orientare lo spettatore: i protagonisti del film guardano un notiziario sul matrimonio tra Marilyn Monroe ed Arthur Miller per spiegare che siamo nell'estate del '56, e nel recente L'ultima ruota del carro (2013) ecco il ritrovamento del cadavere di Moro e l'Italia campione del mondo nell'82.

 

Quell'attimo di gioia in un'Italia alle prese con la nascita delle emittenti private e con una tv sempre più di urla, insulti e spettacolarizzazione. Un personaggio de La terrazza di Ettore Scola(1980) vorrebbe inserirla tra le droghe pesanti, e pensare che deve ancora nascere quella tv “del dolore” che Carlo Verdone mostrerà in Perdiamoci di vista (1994), dove un conduttore tratta cinicamente la sofferenza umana.

 

Contano gli ascolti e funzionano quegli strip dell'anima che Paolo Sorrentino chiama “Confessioni pubbliche” in L'uomo in più (2002), ambientato in quegli anni '80 di videoregistratori e di un cinema italiano duramente colpito nelle presenze in sala.

 

Alcuni autori descrivono la televisione come fattore scatenante di aggressività: Nanni Moretti in Sogni d'oro (1981) fa vincere il dibattito televisivo al contendente che usa l'aggressività verbale:«Palloncini rossi in schiacciante maggioranza – decreta il conduttore – la volgarità, purtroppo, ha trionfato ancora una volta».

 

Una tv di bizzarrie perfette per alzare gli ascolti è quella del di F.F. S.S di Renzo Arbore (1983) dove un dirigente Rai vorrebbe scongelare in diretta un reduce di guerra: «E' tutto lì l'ascolto», spiega all'interlocutore, ma chi meglio racconta l'atmosfera decadente della tv commerciale anni '80, è ancora Fellini, che in Ginger e Fred (1985) descrive due anziani attori di varietà ripescati e sbattuti dalla tv commerciale accanto ad altra gente pronta a vendersi il privato.

 

Bersaglio del film è anche l'abuso di quellapubblicità denunciato con deliziosa ironia da Maurizio Nichetti in Ladri di saponette (1989), dove una famiglia vede un film alla tv interrotto di continuo dalla pubblicità, finché un personaggio dello spot si ritrova nel film e la protagonista della pellicola finisce a reclamizzare detersivi.

 

La televisione di Ginger e Fred appartiene al Cavalier Lombardoni, con riferimento a quel Berlusconi il cui pensiero è sintetizzato dalla sequenza de Il caimano di Nanni Moretti (2006) in cui si rivolge al pubblico del suo studio televisivo: «Che mi dite? Che preferivate la televisione di Stato? Con due canali uguali, grigi, e i programmi che finivano alle 11.00 di sera? Con quella ballerine tutte vestite?».

 

I suoi programmi entrano in Kamikazen di Gabriele Salvatores (1987) (alcuni comici sognano “Drive-in”) e in Lamerica di Gianni Amelio (1994), su un'Albania post dittatura in cui la tv commerciale italiana entra nelle case deformando la realtà, mostrando il nostro paese come una terra promessa, con programmi come “Ok il prezzo è giusto” e quel “Non è la Rai” raccontato anche in Ferie d'agosto di Paolo Virzì (1996), attraverso Sabrina, spettatrice meno rampante delle coetanee ballerine e dell'ambiziosa protagonista di Ricordati di me di Gabriele Muccino (2003), ossessionata dall'idea di diventare velina.

 

Sabrina ricorda l'adolescente di Caterina va in città, con cui lo stesso Virzì, nel 2003, aggiorna il raccconto della tv italiana, e la morbosa relazione tra politica e talk show televisivi, attaccati anche da Alex Infascelli con Il Siero della vanità (2004). Persino Porta a porta compare al cinema, in Commediasexi di Alessandro D'Alatri (2006), ma il programma meglio spernacchiato dal grande schermo rimane “Beautiful”, con Caro diario di Nanni Moretti (1993), dove il tizio che non vedeva la tv da anni si appassiona alla serie americana e sul vulcano Stromboli, anziché godersi lospettacolo della natura, cerca informazioni da un gruppo di statunitensi più avanti con le puntate.

 

Che ne sarà di lui all'esplosione di fiction e reality? «Sto a fa' 'n Padre Pio – dice Mandrake nel 2002 – ma pijo poco»: il film è Febbre da cavallo, La mandrakata, e la battuta sintetizza il dilagare di quelle fiction di cui parla anche La bestia nel cuore di Cristina Comencini (2006), dove un regista campa girandone molte ma sognando un film d'autore, al contrario di un personaggio del film Una famiglia perfetta di Paolo Genovese (2012), il cui unico scopo è entrare al Grande Fratello: «Ma lo vedi come funziona il mondo? – spiega a una collega – Se io entro in quella casa sono apposto».

 

Come lui la pensa un ragazzo di Tutti i santi giorni di Paolo Virzì (2012) che ha lasciato moglie e figli per partecipare ad un reality in cui vince chi rimorchia di più. Il tema l'ha affrontato Matteo Garrone con Reality (2012):Luciano vuole partecipare al “Grande Fratello” e scivola in un'ossessione che gli mangia famiglia e vita sociale.

 

Da Napoli arriva a Cinecittà rievocando quella Maddalena Cecconi (Anna Magnani) che in Bellissima di Luchino Visconti (1951) sognava per sua figlia un avvenire sul grande schermo. Entrambi soffrono di una malattia antica: non sanno vivere felicemente con ciò che hanno. Alla fine Maddalena comprende la follia in cui sta finendo; Luciano no, forse perché la sua società tende maggiormente a negare che la vita sia anche affanni e fatica.

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