Clima teso a Copenhagen

La recente conferenza Onu sul clima si è conclusa con un accordo al di sotto delle aspettative ma, al di là delle nubi, potrebbe profilarsi una schiarita
Piattaforma petrolifera offshore

La stampa italiana ha seguito con grande interesse la recente conferenza Onu sul clima, tenuta a Copenhagen dal 7 al 18 dicembre 2009. Le aspettative erano molte e i titoli dei quotidiani oscillavano tra il pessimismo e l’ottimismo. Alla fine, è prevalsa la constatazione di un fallimento di fatto, al di là di un accordo minimo per salvare la faccia dei “potenti” della terra.

Ma facciamo un passo indietro: qual era l’oggetto della conferenza? Da tempo gli strumenti misurano un riscaldamento progressivo dell’atmosfera. La maggior parte degli scienziati attribuisce la causa di questo fenomeno ai gas serra, prodotti da automobili, riscaldamenti, industrie ecc. Questi dati scientifici hanno spinto i Paesi ad adottare misure di contrasto ai cambiamenti climatici. Nel 1992 fu elaborata a Rio de Janeiro la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici che invitava i governi a ridurre i gas serra. Dall’entrata in vigore della convenzione (1994), i rappresentanti delle nazioni si sono incontrati annualmente nella Conferenza delle Parti (COP), per analizzare i progressi nell’affrontare i cambiamenti climatici. La conferenza più importante (COP3) si svolse a Kyoto nel 1997 e adottò il Protocollo di Kyoto che stabilì azioni legalmente vincolanti per i Paesi sviluppati, tenuti a ridurre le loro emissioni del 5,2% (rispetto ai valori del 1990) entro il 2012. A Copenhagen si è svolta la COP15 e, in base a un’intesa raggiunta durante la COP13 – la cosiddetta roadmap di Bali – si sarebbe dovuto adottare un accordo vincolante in continuità con il Protocollo di Kyoto.

 

Le cose non sono andate così: solo dopo estenuanti trattative, Stati Uniti, Cina, India, Brasile e Sudafrica hanno raggiunto un accordo la sera del 18 dicembre. E le altre 187 nazioni? Dopo le contestazioni di molti Paesi in via di sviluppo, la mattina del 19 dicembre, oltre la conclusione prevista, è stata rilasciata la glaciale dichiarazione: “La conferenza decide di prendere nota dell’Accordo di Copenaghen del 18 dicembre 2009”. L’accordo non prevede tagli di gas serra, rimandando misure precise a un vertice dei Paesi industrializzati in gennaio 2010. Sono programmati invece contributi per 30 miliardi di dollari entro il 2012 ai Paesi in via di sviluppo, in modo che possano sia dotarsi di tecnologie rispettose dell’ambiente, sia contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Nell’ultima bozza di accordo si parlava di una riduzione delle emissioni del 50% entro il 2050, si prospettava un aumento dei contributi ai Paesi in via di sviluppo fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020 e si indicava dicembre 2010 come data ultima per l’adozione di un trattato vincolante. Tutte queste misure dovrebbero limitare a due gradi l’aumento della temperatura atmosferica.

 

Le ragioni del fallimento di Copenhagen sono molteplici e complesse. Da una parte, Obama è alle prese con la riforma sanitaria e l’approvazione da parte del Congresso della legge americana sui cambiamenti climatici è passata in secondo piano. Dall’altra, la Cina si è opposta a un monitoraggio internazionale delle proprie emissioni. Infine, i Paesi più poveri avrebbero voluto far valere il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate”, invitando i Paesi industrializzati a un impegno maggiore nella riduzione delle emissioni. Come osservava il climatologo Pasini nel suo blog (http://antonellopasini.nova100.ilsole24ore.com/): “i Paesi africani e gli stati delle piccole isole del Pacifico, che sono i più vulnerabili ed hanno emissioni del tutto trascurabili, puntano ad un rinnovo del protocollo di Kyoto. In tal modo costringerebbero i Paesi sviluppati a prendere impegni vincolanti”.

 

Comunque Copenhagen segna una svolta, nel senso che i Paesi ricchi non potranno più imporre tagli alle emissioni ai Paesi poveri senza considerarne i bisogni di crescita. Come ha affermato Yvo de Boer, responsabile Onu per l’ambiente: “In India 400 milioni di persone vivono senza accesso alla corrente elettrica. Come gli dici di spegnere una lampadina che non hanno?”. Anche Benedetto XVI, nell’Angelus del 6 dicembre 2009 aveva auspicato che la conferenza aiutasse “ad individuare azioni rispettose della creazione e promotrici di uno sviluppo solidale”. Se volessimo guardare “il bicchiere mezzo pieno”, una nuova consapevolezza del debito che i Paesi ricchi hanno contratto con i Paesi poveri, in termini ambientali ed economici, è un risultato positivo. Inoltre, resta la speranza che un trattato vincolante sia adottato nel prossimo appuntamento (COP16) di Città del Messico, dal 29 novembre al 10 dicembre 2010: restate sintonizzati…

 

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