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Cittadinanza attiva e politiche di difesa del bene comune

di Lucia Fronza Crepaz

- Fonte: Città Nuova

Lucia Fronza Crepaz

Le dinamiche della partecipazione ci chiamano a diventare sempre di più attori responsabili della costruzione della nostra società. Dal territorio alle grandi questioni globali. Dall’intervento per il convegno di Brescia “Insieme per la pace. Abbiamo bisogno di giustizia sociale, non di armi atomiche!”.

Cittadinanza attiva Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

Cittadinanza attiva e democrazia. L’argomento “bando alle armi come metodo di risoluzione dei conflitti” è un obiettivo che è connesso con il nostro DNA di persone umane, con la decisione di essere e spingere tutti a essere ciò che l’umanità si merita.  Ancora più che in altre battaglie occorre, quindi, che i mezzi per raggiungere il fine siano adeguati, affini, spingano nella stessa direzione, per conservare la purezza dei fini, per poterli vedere sempre e non perderli mai di vista.

Credo che le pratiche partecipative siano un tipico mezzo eccedente, nel senso che esse spingono nella stessa direzione: mettere in moto processi che aumentano la nostra capacità di essere umani.

Prima di entrare nel merito, in cui cercherò di capire il perché della scelta delle pratiche partecipative, vorrei richiamare i dati di una ricerca fatta in Toscana dove sapete che, pur con luci ed ombre, esiste una legge[1] (46/2013) che dà una casa alle pratiche partecipative, così come in Emilia Romagna.

La ricerca, divenuta poi una tesi di Nicola Pietropoli, seguita dal professor Lewansky, dimostrava che nei luoghi in cui i cittadini avevano aderito e seguito in prima persona un progetto partecipativo il “capitale sociale” era aumentato.

Forse la più bella definizione di Capitale Sociale è quella che lo descrive come quel capitale di relazioni per cui sia i singoli che le comunità riescono a raggiungere la propria realizzazione, i propri sogni, meglio di quello che sarebbero riusciti da soli.

Come hanno misurato il capitale sociale? Sono aumentati tra i cittadini partecipanti il numero di coloro che si sono iscritti ad una associazione, si sono abbonati ad un giornale e hanno donato il sangue.

Il senso della partecipazione è questo: si tratta di comprendere sempre di più che proprio noi cittadini, che portiamo sulle nostre spalle le conseguenze, gli impatti delle decisioni che vengono prese dalle istituzioni politiche a vari livelli, dobbiamo metterci in gioco.

Le pratiche partecipative tra i popoli andini, nei villaggi di molte parti dell’Africa sono pratiche normali. Sono metodi per poter da una parte superare i conflitti mettendo intorno ad un tavolo tutti gli interessati ad un dato problema, dall’altra trovare soluzioni nuove a problemi complessi.

Le tecniche usate sono orientate a fare in modo che tutti dispongano di informazioni adeguate, che provino ad ascoltarsi e a capirsi, e che siano messi in condizione di arrivare, quando possibile, a soluzioni condivise o comunque di affrontare apertamente i conflitti. (conferenza di Parigi sul clima che ha usato la tecnica Bantu!!!)

Un po’ in tutte le democrazie ci si è accorti che il processo della globalizzazione, potenziato dai mezzi di comunicazione sociale, chiede a tutti noi, sempre di più, di entrare in gioco dentro le dinamiche del governo dei processi, così come siamo, quelli che siamo, dentro i luoghi della nostra società: uomini, donne, sani e malati, adulti e bambini, anziani, persone del gruppo di maggioranza, ma, e soprattutto, anche della minoranza.

Le dinamiche della partecipazione ci chiamano a diventare sempre di più attori responsabili della costruzione della nostra società.Owen l’inventore di una di queste pratiche – il Word cafè – si è accorto che in una sala in cui gli ascoltatori sono seduti per una conferenza frontale parlano sempre gli stessi, tutto avviene secondo procedure e pensieri scontati, invece i momenti più interessanti e più fruttuosi per i congressisti, in cui tutti trovavano gli spazi per intervenire, erano i Coffe-break… Queste tecniche le potremmo chiamare “catalizzatore”.

Come sappiamo, il catalizzatore è quella sostanza chimica che non partecipa direttamente a una reazione, ma la favorisce o addirittura la rende possibile.

Le persone, con l’aiuto di facilitatori, si ritrovano e liberamente dicono le loro idee, in un clima di ascolto e si crea una intelligenza particolare che i politologi chiamano intelligenza incrementale (cioè che cresce con l’apporto di tutti) e vengono alla luce soluzioni impensate che vengono poi fornite a chi ha la responsabilità di decidere.

 Questo metodo si chiama democrazia deliberativa.

È il passaggio da sistemi di gestione di una comunità, di un territorio centralizzati, piramidali, a sistemi complessi, dove più realtà si osservano, interagiscono, costruiscono equilibri, reti dove le intelligenze diverse entrano in dialogo.

Le pratiche non sono giochi, non sono degli esercizi, per così dire, di simulazione intorno a questioni serie che non possiamo affrontare diversamente, richiedono preparazione, applicazione, richiedono verifica, richiedono un metodo specifico, chiedono regole, sui tempi, sulle funzioni di ciascuno…

Partecipare, includere, far sedere attorno al tavolo delle decisioni il maggior numero di persone interessate, non è semplicemente un processo orizzontale, paritario, egualitario: è qualcosa di molto più complesso.

Partecipare vuol dire

–          renderci tutti protagonisti di questo cammino: questo vuol dire che ciò che faccio e che sono non è né indifferente né ininfluente. Ci aiuta a capire dove io posso fare la differenza? E cominciare da lì, mettendosi in gioco a cominciare dal mio talento, dalla mia posizione… L’effetto collaterale è renderci capaci di collaborare con tante altre persone singole o associate che lavorano con questo spirito, che hanno capito che è insieme che vinceremo le sfide…

–          aumentare la rete tra tutti: il contributo specifico è quello di dare spessore alle relazioni, ai legami dentro la partecipazione. di far crescere e dare sempre più spessore al legame sociale tra le persone, il “prendere parte” e il “sentirsi parte”. Perché partecipare vuol dire certamente “prendere parte” ad una realtà, fare qualcosa di concreto, entrare in un processo…  Ma come tutti sappiamo bene, si “prende parte” se prima di tutto ci “sentiamo parte”, e questo “prendere parte” farà crescere il “sentirsi parte” di quella realtà.

–          individuare meglio gli Obiettivi da raggiungere: una pratica partecipativa funziona solo se ha obiettivi chiari e serve ad individuare i passi da fare.

E poi ci sono dei momenti in cui bisogna tornare ad agire, riempire di nuovo una piazza, rimettersi in gioco fino alla fine del processo, quando poi bisogna valutare e saper raccogliere i frutti, le conseguenze delle decisioni prese insieme, e riprendere il percorso che si sta facendo.

Adesso andiamo più nel merito con 5 titoli

 

WHY Le relazioni umane sono caratterizzate con solo dal con (il branco), ma dal per (a favore di)
WHAT Le pratiche partecipative sono un catalizzatore di soluzioni innovative
WHO Tutti e ciascuno. Tra il resto permettono di coinvolgere lo stesso numero di donne e uomini, giovani e anziani, nuovi cittadini …
WHERE Nel micro come nel macro: nella mia strada, nel mio quartiere, fino ai consessi internazionali (vedi conf. di Parigi sul clima)
WHEN Ora, adesso!

 

A questo punto ci si potrebbe chiedere. Queste sono pratiche che funzionano soprattutto a livello comunale e come la mettiamo con Putin? Biden? Kim?

Vedo tre motivi di speranza!

  1. il primo: Saskia Sassen, sociologa statunitense sostiene dentro la globalizzazione, sostenuta dalla capacità di legami transfrontalieri tra cittadini e organizzazioni civiche associazioni e movimenti internazionali una capacità di produrre novità che può costituire una storia (intanto con la s minuscola) che produce però frutti veri, anche se non subito visibili come succede per la Storia dalla S maiuscola, quella dei personaggi, per intendersi. Una storia che può agire a livello globale e dare frutti.
  2. Il secondo sta davanti a noi: una rete di comuni che si potrà allargare, gemellarsi con altre reti, e creare cittadini e amministratori in grado di fare le domande “giuste” ai propri rappresentanti politici. Se tu hai imparato ad uscire dal tuo giardino per guardare la tua comunità civica riconoscendosi in essa è più facile che tu non sia usato inconsapevolmente. Due sere fa ho parlato con un capoclan di Trento e alcuni giovani del Movimento dei focolari per portare questa rete anche in Trentino…
  3. la terza la rubo a Afef Hagi, scrittrice Tunisina[2]lei ha proposto alle donne arabe di Milano un impegno noto tra i Musulmani come il “settimo vicino”: un buon musulmano praticante deve conoscere e sostenere i suoi vicini fino alla settima casa. Vi immaginate se tutti facciamo così, sono le classiche catene che ti portano dove non pensi e non ti aspetti: al tuo sindaco, al tuo deputato, al tuo ministro…

Insomma facciamoci sorprendere dalla vita e cominciamo laddove possiamo fare la differenza.

Concludo con le parole di un manifesto che stasera leggeremo a Trento in una manifestazione per la pace, in particolare per la pace in Ucraina, a cui parteciperanno movimenti e associazioni laiche e cattoliche:

«Tutti noi, che non vogliamo stare zitti, dobbiamo togliere dalla polvere le bandiere di pace, abbandonare  il senso di sfiducia che da tempo ci imprigiona, la sensazione che tanto non saremmo comunque ascoltati e che sarebbe impossibile incidere, e gridare tutti assieme il nostro disgusto per la guerra.

Vogliamo diventare un enorme fermento di idee di pace e fare in modo che si avvicini quel tempo in cui i potenti smetteranno di trascinare la gente dentro la follia della guerra».

 

 

[1] Legge 46/2013 Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali. Bollettino Ufficiale n. 39, parte prima, del 7 agosto 2013

[2] (Ouejdane Mejri e Afef Hagi “La rivolta dei dittatoriati” Mesogea)#. Descrivono il cammino di una generazione – quella delle autrici stesse – nata e cresciuta sotto la dittatura e che ora sta scoprendo cosa vuol dire partecipazione e democrazia.

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