Chiesa e politica

Le scelte di candidati, partiti, programmi elettorali sono chieste dai media a vescovi e cardinali, visti come espressione della realtà ecclesiale. Grandi assenti sono i laici, veri protagonisti, e il Vangelo, metro che misura le scelte e l'agire. L'opinione di Costanzo Donegana, missionario del Pime
Elezioni

Non sarà un discorso politico, non ne ho la competenza. Né un discorso teologico, la teologia alle volte è rischiosa.Tenterò di fare non un discorso possibilmente semplice, tentando  un ritorno al vangelo. Una pretesa, certo, e scommetto che non ci riuscirò granchè. Ma per tentare di stimolare chi può farlo e magari non lo fa.

Partiamo da un dato di fatto comune. Tutti i mezzi di comunicazione, in questo tempo di elezioni, sono alla caccia delle scelte politiche della Chiesa, di quali partiti appoggia, quali candidati  preferisce. E cosa si fa? Si intervista il presidente della Cei, si tenta di interpretare le dichiarazioni del vescovo tale o tal’altro… La linea della Chiesa sarebbe dettata dalle parole dei vescovi. Questo vuol dire che nel linguaggio e nella mentalità corrente si opera una identificazione fra Chiesa e gerarchia. Non è una novità. Viene da tante cause, non ultima dal fatto che la gerarchia nel passato – e un po’ anche nel presente, pur dopo il Vaticano II – ha voluto dire la sua su tutto. Naturalmente i laici (cattolici) non avevano voce in capitolo.

Ma la gerarchia ha il diritto di identificarsi tout court con la Chiesa e parlare in nome di essa  su tutti gli argomenti? Il papa e i vescovi hanno la garanzia dell’assistenza dello Spirito Santo quando parlano su fede e morale – e entro condizioni ben precise – ma non sul resto. Quando un cardinale simpatizza per un uomo politico per ragioni che chiama “religiose”, “per il bene della Chiesa”, non è detto che ciò che afferma o fa sia espressione “della Chiesa”. Può essere solo sua espressione personale.

Chi nella Chiesa ha la grazia (l’assistenza dello Spirito Santo) per agire  da cristiano in nome della Chiesa nella politica sono i laici: «I laici devono assumere il rinnovamento dell’ordine temporale come compito proprio» (Vaticano II, AA, 7). Certo in comunione con i pastori, ma non in subordinazione: ognuno al suo posto secondo il suo servizio nel Popolo di Dio.

Se un giornalista vuole sapere cosa pensa la Chiesa in politica, non deve domandarlo anzitutto a cardinali e  vescovi, ma ai laici cattolici impegnati in questo campo, i quali – guarda caso – esprimeranno pareri diversi. Perché la politica, più che altri settori della vita umana, è essenzialmente legata al pluralismo delle idee e delle scelte. Lo Spirito Santo non fa scelte di partito.

Allora non sono possibili scelte comuni? E i “principi non negoziabili”? Chiaro che ci sono e il cristiano – vescovo e uomo politico – è chiamato a difenderli. Ma anche qui, un conto è l’enunciazione di principio (dove la gerarchia ha la priorità) e un conto è la situazione concreta nella quale i principi sono immersi.

Un esempio. Si dice che si deve difendere la vita dal principio fino alla fine naturale. D’accordo. Ma deve essere difesa lungo tutto l’arco in cui si svolge. Certamente deve essere difesa  al principio (no all’aborto) e alla fine (no all’eutanasia). Ma anche fra questi due punti vanno inseriti tutti i diritti sociali – che sono diritti di vita -. Se certi interventi in economia “costringono” persone disperate a suicidarsi (come avviene non raramente in questi giorni), obbligano imprese a licenziare rovinando intere famiglie: queste vanno contro il “principio irrinunciabile” della vita.

Il laico politico (e il semplice laico chiamato a votare), che scelta farà fra un partito che dice di difendere l’inizio e la fine della vita e un altro che sottolinea di più la fase intermedia? Al lettore (che penso laico maturo) la risposta. E la gerarchia non può dettare una scelta. Può solo aiutare a un discernimento il più possibile evangelico.

Un secondo aspetto. Se c’è un punto sul quale la gerarchia dovrebbe essere in prima fila è la profezia. Io ho vissuto parecchi anni in Brasile e ho percorso in lungo e largo l’America Latina. Nomi come Romero (El Salvador), Angelelli (Argentina), Helder Câmara (Brasile), Proaño (Ecuador), Girardi (Guatemala) e la lista sarebbe lunghissima: sono  figure profetiche, varie delle quali morte come martiri della “politica”, della giustizia, della difesa dei poveri. Non sempre  furono compresi in vita dai loro superiori – che non li appoggiarono o consigliarono loro la prudenza –  e furono elogiati dopo morte. Non faccio nomi di sacerdoti, vescovi-profeti italiani. Siamo troppo vicini.

Ma provate a pensare: queste persone sono ancora ricordate dalla gente, anche da molti che stanno fuori della Chiesa. Perché sono stati evangelici, come Gesù. Hanno avuto consensi e opposizioni. “Nessuno è profeta in patria”, ha detto Gesù. Ma l’importante è essere profeti, come lui.Sopra il vangelo si è deposto troppo buon senso, troppa prudenza, troppo equilibrio, troppo silenzio, troppa buona educazione, troppi calcoli, troppo rispetto umano, troppa diplomazia, troppo “giusto mezzo”. Che hanno ammazzato la profezia.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

Il voto cattolico interessa

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons