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Cultura > Dialoghi profetici

Chiara Lubich e Giorgio La Pira

di Marco Luppi

- Fonte: Città Nuova

Dialoghi ipotetici, eppure plausibili, con personalità che Chiara non conobbe personalmente, ma che risultano in grande consonanza col suo pensiero. Pubblichiamo il terzo estratto dal libro di Lucia Abignente e Donato Falmi “Oltre il Novecento” (Città Nuova).

La storia è ricca di intrecci costruiti ex-post, a partire da comparazioni possibili in seguito a scelte esistenziali determinanti o comuni appartenenze, che avvicinano personalità altrimenti prive di legami di congiunzione diretta e riscontri documentali utili a ricostruirne le vicende. La correlazione tra le figure di Chiara Lubich e Giorgio La Pira si inquadra perfettamente in tale contesto. I due non si conobbero se non per interposta persona (Igino Giordani). […]

La consacrazione laicale – per quanto privata – che portò entrambi ad una scelta di radicalità nell’osservanza dei consigli evangelici, denota la ricerca di una perfezione che non fosse fine a se stessa, ma in relazione ad un rapporto preferenziale con Dio visto come Padre.

La povertà

Un primo elemento comune che si può mettere in evidenza è la vicinanza al carisma di san Francesco d’Assisi e la scelta dei poveri come primi collaboratori nella costruzione di una società animata dal Vangelo […]. La Lubich, all’anagrafe Silvia, cambiò il proprio nome in Chiara in omaggio alla santa di Assisi, a cui la avvicinava il desiderio di conoscere Dio, inteso come ricerca primordiale dell’esistenza. È durante l’esperienza condotta nel Terz’Ordine francescano che matura la spinta a creare il focolare […].

La Pira, che fu tra i primi ad ottenere il privilegio di appartenere contemporaneamente al Terz’Ordine domenicano e francescano, sempre fu un assiduo frequentatore de La Verna e fece proprie alcune caratteristiche di Francesco d’Assisi […]

Per La Pira la povertà fu uno stile di vita. A distanza di tempo uno dei suoi grandi amici, anch’egli politico e statista, Amintore Fanfani, così ricordava: «Amò i poveri, e per sé amò la povertà. Quante volte non mutò vestito, fino a che gli amici non gliene donavano un altro, che poi a prima vista non amava, perché – diceva – era troppo bello? […]».

Lo sguardo “povero” con cui La Pira visse il suo impegno professionale e politico non è dato solamente dalla distribuzione, che egli era solito fare, del suo stipendio agli indigenti che incontrava per strada o nelle mense, ma prima di tutto dalla dignità con cui concepiva il suo legame con i poveri.

Il valore della politica

Il secondo aspetto unificante le due figure di riferimento: il valore della politica e l’elemento centrale rappresentato dalla comunità cittadina. In La Pira, che proveniva dall’esperienza dell’Assemblea costituente, dall’impegno presso il Ministero del Lavoro, dal contributo pluriennale in Parlamento, la riflessione sul tema della politica e della città si irrobustì notevolmente a partire dal lavoro quotidiano come sindaco di Firenze, che caratterizzò quasi quindici anni della sua vita. Al principio del suo impegno sociale, La Pira scrisse: «Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa brutta! No: l’impegno politico […] è un impegno di umanità e di santità» […].

La Lubich, che definì la politica come «l’amore degli amori» – intendendo con questo la centralità determinante che l’impegno politico mette a disposizione del fiorire di tutte le altre attività umane – non assunse alcun incarico diretto, ma fu insignita di numerose cittadinanze onorarie e dialogò con il mondo della politica a varie riprese. Lo fece soprattutto attraverso la fondazione, avvenuta a Napoli nel 1996, del Movimento politico per l’unità[…].

Fraternità universale

Il senso che un radicamento nuovo e profondo della persona nella città può suggerire, apre all’elemento che potrebbe rappresentare il terzo e ultimo punto di congiunzione: la fraternità universale.

L’amore di La Pira per la città e il senso di comunità che era necessario consolidare per allargare lo spirito di fraternità universale, unico strumento per frenare il dilagare della Guerra fredda e smontare il pericolo di un’escalation atomica, lo portarono a valorizzare lo strumento dei gemellaggi cittadini, fino ad assumere, nel 1967, la presidenza della Federazione delle città unite.

Chiara Lubich, a maggior ragione dopo l’11 settembre 2001, vide nella fraternità il legame per eccellenza della vita politica e si impegnò per divulgare quelle che riteneva essere le caratteristiche principali del politico per l’unità, costante costruttore della fraternità: la vocazione politica nasce da un atto di amore verso la propria città e la propria comunità; l’avversario politico è animato da una scelta comparabile alla mia, che sono chiamato a comprendere e rispettare […].

Parole, quelle della Lubich e di La Pira, che potrebbero apparire ai più come ingenue o inattuabili, ma che si pongono accanto agli uomini di buona volontà, nel desiderio mite e deciso di non lasciare campo libero solo alla logica della contrapposizione, al manicheismo portato dalla polarizzazione, ma piuttosto a forme di aggregazione e di multilateralismo che guardino ai valori base della natura umana aperta all’incontro e al dialogo.

 

Per i “dialoghi profetici” leggi anche:

Chiara Lubich e Michail Gorbačëv

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