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C’era qualcosa di nuovo nella visita del papa a Istanbul

di Bruno Cantamessa

- Fonte: Città Nuova

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

Padre Claudio Monge è un teologo domenicano di notevole levatura, che vive da 24 anni a Istanbul. Mi ha incuriosito quanto afferma dell’emergere negli ultimi anni di una Chiesa cattolica turca a Istanbul, che va oltre gli ambiti ristretti di una Chiesa per residenti stranieri

Alcuni fedeli attendono Papa Leone XIV, che visiterà la tomba di San Charbel Makluf nel monastero di San Marone ad Annaya, in Libano, il 1° dicembre 2025. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Da appassionato di lunga data della Turchia (e di Istanbul in particolare), mi hanno particolarmente colpito alcune affermazioni di padre Claudio Monge, frate domenicano che vive da quasi 24 anni a Istanbul, dove dirige il Centro per il dialogo interculturale DoSt-I (Dominican Study Institute). Parole da lui espresse a margine del recente viaggio di Leone XIV, il primo viaggio apostolico di papa Prevost, a fine novembre in occasione dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, e raccolte in un’intervista apparsa su oasiscenter.eu il 9 dicembre scorso, a cura di Claudia Catanzaro e Claudio Fontana. Pur essendo padre Monge un teologo di notevole levatura, ciò che mi ha sollecitato e incuriosito è quanto afferma dell’emergere di una Chiesa cattolica turca a Istanbul, qualcosa che supera la concezione fino ad ora piuttosto diffusa di una Chiesa cattolica rivolta prevalentemente agli stranieri residenti.

Padre Monge sostiene in un passaggio-chiave dell’intervista: «Oggi la Chiesa cattolica latina in Turchia sta diventando sempre più “turca”: la lingua turca stessa diventa maggioritaria nelle nostre assemblee». E spiega: «Noi [cattolici in Turchia] non vogliamo essere costretti a scegliere tra essere cittadini o credenti: siamo cittadini e credenti. E questo è perfettamente compatibile con una visione laica dello Stato. In quest’ottica chiediamo di poter agire all’interno delle regole più o meno democratiche vigenti, esercitando, quando necessario, anche un’obiezione di coscienza. Questo è il percorso moderno della cittadinanza, non quello – ormai superato – dei millet ottomani». I millet, o qualcosa di molto simile da essi derivato, hanno rappresentato, anche ben oltre la loro abolizione alla fine dell’Impero Ottomano (nel 1922), la mentalità comune: sia nei governanti che tra la popolazione, e negli stessi credenti non musulmani. È d’altronde comprensibile, considerando che il sistema è rimasto in vigore per oltre 300 anni, dal XVII al XX secolo.

Cos’erano i millet? Con questo termine (che in turco significa nazione) si indicavano le comunità religiose non musulmane residenti nel territorio dell’Impero Ottomano, ma anche e insieme, il governo amministrativo di tali comunità. Per le maggiori comunità-nazioni era istituito un millet. In particolare, i cristiani e gli ebrei godevano di uno status definito dhimmi (protetti), e una volta che il capo religioso di un millet aveva ricevuto dal Sultano conferma dell’investitura, diventava anche capo civile: curava la riscossione delle tasse e amministrava la giustizia nell’ambito del diritto di famiglia e del diritto civile, e rappresentava la propria comunità davanti al sultano e alla sua amministrazione. Insomma i membri dei millet non erano cittadini a pieno titolo, ma neppure perseguitati. Direi una sorta di ghetto in versione turca, in senso tutt’altro che negativo. Tutto questo finì drammaticamente con la durissima frattura, politica e ideologica, costituita dal genocidio di 3 milioni di armeni (1915-1923) e con l’esodo-scambio di 2 milioni di greci e turchi del 1923.

Papa Leone XIV e il Patriarca Bartolomeo I impartiscono una benedizione ecumenica dal balcone della Chiesa Patriarcale di San Giorgio dopo la Divina Liturgia a Istanbul (30 novembre 2025). Prima visita apostolica fuori dall’Italia. Credit: EPA/TOLGA BOZOGLU/ANSA.

Continua padre Monge nell’intervista di Oasiscenter: «I cattolici latini storici, noti come levantini, pur essendo nati spesso e volentieri in Turchia, rivendicavano la loro non-“turchità”. Molti dei nostri catecumeni attuali sono turchi e culturalmente turchi, che arrivano alle porte delle nostre comunità spesso dopo aver intrapreso un lungo cammino di ricerca spirituale…A differenza di 20 anni fa, non lo fanno come passe-partout per approdare più facilmente in Occidente».  Ma padre Monge va anche oltre e sostiene che l’immagine pubblica dei cristiani in Turchia è cambiata con il recente viaggio di papa Leone. «L’evento simbolico più forte è stata la messa nella Volkswagen Arena di Istanbul, trasmessa in diretta da TRT World», la principale Tv turca. «Per la prima volta è stata data al Paese un’immagine dei cristiani gioiosa, pubblica e non ghettizzata. Non chiusi negli spazi riservati delle loro chiese, ma convenuti in un luogo pubblico, normalmente destinato a concerti e sport, trasformato per un giorno in spazio di preghiera. L’impatto è stato positivo, perché anche i non-cristiani turchi hanno potuto riconoscervi qualcosa della ricchezza della loro terra».

 

 

 

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