Ce la farà Francesco?

Andrà in porto la riforma avviata da Bergoglio? Perchè potrebbe funzionare? Perchè no? Queste ed altre domande nel libro di Rocco D'Ambrosio, edizioni La Meridiana

Quel che richiama l’attenzione nel libro di Rocco D’Ambrosio, oltre al titolo indovinatissimo, “Ce la farà Francesco?”, è lo stile. Un libro scritto da un docente all’Università Gregoriana così piano, accessibile a chiunque sia interessato alla riforma di papa Francesco ma privo di studi, conoscenze teologiche, ecclesiologiche, dottrinali, un libro capace di esporre la complessità del tema con semplicità e concisione senza mai scadere nella banalità, è oggettivamente un libro riuscito. E forse è riuscito perché D’Ambrosio non vuole manifestare se stesso, non cede  alla ridondanza nozionistica, e poi non ha paura di indicare quella che gli appare l’essenza del problema, o dei problemi, con cui la riforma cerca di fare i conti. Problemi che non si risolvono limitandosi ad aggiustamenti strutturali, ma incidendo sui comportamenti, e le priorità.

Ma quel che sorprende di più in questi giorni segnati dal caso delle dimissioni della signora Collins dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, lo ha detto lo stesso D’Ambrosio: le edizioni in inglese e spagnolo, di prossima pubblicazione, saranno arricchite da un capitolo sullo scandalo della pedofilia. Richiesto dagli editori, il capitolo è stato inserito dall’autore. E qui verrebbe da chiedersi perché la richiesta non sia apparsa “naturale” anche all’editore italiano. Una risposta potrebbe essere questa: in cuor nostro lo abbiamo ritenuto un problema anglosassone, non nostro.

E’ proprio questa difficoltà a rapportarsi con quel che questo ha significato e significa, pone in evidenza un tratto essenziale della fatica di Francesco: questa riforma, come scrive giustamente il professor D’Ambrosio, non può essere calata dall’alto, è una riforma che vince se coinvolge. Ma in cosa deve coinvolgere?

Rocco D’Ambrosio sa bene che le istituzioni delle quali s’ipotizza una riforma reagiscono sempre allo stesso modo, arroccandosi. Quella di papa Francesco è una riforma che non può fare eccezione, ma differisce dalle altre perché non è una riforma strutturalista, efficientista. E’ una riforma evangelica e post-moderna al contempo. Una riforma cioè che ripropone la centralità del Vangelo cercandone un’attuazione adeguata a questo mondo “post”: post-moderno, forse post-globale.

A questo mondo “post”, Bergoglio sa offrire l’idea di un governo dal basso, che, a partire dalla Chiesa, sappia offrire questa àncora di salvataggio alla democrazia, sempre più leaderistica e quindi sempre meno democratica, e alla stessa globalizzazione, rendendola poliedrica, cioè rispettosa delle diversità. Se lo avessero ascoltato dal 2013, forse oggi non saremmo al ritorno di tanti nazionalismi malati, bianchi o meno che siano.

Ma è a partire dalla Chiesa che Bergoglio immagina di garantire con il suo governo dal basso una globalizzazione poliedrica, in uno sforzo ecumenico fortissimo che offre al cattolicesimo una visione non più assimilazionista, ma capace offrirsi come “raccordo nella carità”. Questo sistema farebbe poi delle periferie il nuovo centro, i nuovi centri che coesistono: ecco un ecumenismo “sinodale”, che non cancella, non annette,  e una Chiesa cattolica post-centralista sinodale al proprio interno, poliedrica perché rispettosa delle sue articolazioni e diversità. Enorme…

Proprio quelle sul governo dal basso sono tra le pagine più belle, chiarissime e forti di questo volume che vede in papa Francesco il papa che ci porta a immaginare il cattolicesimo  non più una religione dell’Occidente, ma una religione globale.

Il libro si articola in capitoli che toccano i vari campi della riforma, dalle finanze al sistema di governo, dall’attuazione del Concilio alla dottrina, sulla quale l’autore non vede novità:  «La lettura evangelica, attualizzata dal Vaticano II, è quindi il criterio per valutare questo pontificato. Ovviamente per chi crede in un modello di vita cristiana  e di Chiesa preconciliari riterrà la riforma di Francesco, a seconda dei casi, eretica, inconsistente, sprovveduta e via discorrendo. Per chi crede nella lettura evangelica del Vaticano II   cercherà di valutare la riforma di Francesco spostando l’attenzione sui contenuti annunciati e incarnati, più che sulla persona del Papa, il quale, come ogni essere umano, e come ogni leader, per quanto dotato e avveduto, commette errori».

Così D’Ambrosio manda in pensione “la devozione papista” che divinizza il Pontefice, facendone quasi un semidio. La sua forza invece sta nel Vangelo, sembra dirci il libro, e nella costante premura di raccordarlo ai segni dei tempi.

Il dato che emerge, sconvolgente nella sua semplicità e profondità, è che questa riforma dipende da noi, cioè dalle reazioni, dalla partecipazione, dal coinvolgimento che saprà determinare nel popolo Dio, che può essere inteso in senso ristretto, cioè il popolo dei fedeli, ma anche in senso esteso, cioè il popolo di tutti i figli di Dio, anche quelli che non hanno scelto la Chiesa cattolica, o che non hanno una Chiesa, ma che con essa vivono, e in molti Paesi co-agiscono. I partiti però non sono due, avverte nelle prime pagine D’Ambrosio, cioè i favorevoli e i contrari, ma tre, ci sono anche quelli che non si esprimono, aspettando l’esito del confronto in atto. In un meccanismo autenticamente culturale come quello relativo alla riforma di Francesco, la loro astensione sembra valere come voto contrario.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons