Ho incontrato Catherine Duncan, giovanissima pianista scozzese, nella sua casa a Dunblane, storica cittadina a metà strada tra Glasgow ed Edimburgo. In un’altra città della Scozia, Stirling, lo scorso luglio, si è svolta la prima edizione del Three Rivers Festival: quattro giorni di musica in un’area geografica ricca di storia e testimonianze importanti, basti pensare al soggiorno scozzese di Frederick Chopin, ospite della sua allieva e benefattrice Jane Stirling, e a Giancarlo Menotti, compositore e fondatore del Festival dei due mondi di Spoleto, che in Scozia (East Lothian) ha vissuto. Catherine Duncan è stata ideatrice del Three Rivers Festival e ne ha curato la direzione artistica.
Catherine, com’è nata l’idea di realizzare un Festival musicale?
Da adolescente, andavo spesso a trovare mia nonna Helenè, nella città dove abitava e dove assistevo a concerti bellissimi di musica da camera: piccoli ensemble con pianoforte, violino e altri strumenti. Sono state esperienze musicali indimenticabili. Una magia! Nello stesso periodo, avevo iniziato a suonare in trio con violino e violoncello: una grande novità per me, che fino ad allora mi ero esercitata sempre da sola al pianoforte. Suonare insieme era come un dialogo continuo tra musicisti che mi dava tanta energia. Avevo 14 anni, e quel momento, per la mia formazione, ha rappresentato una luce nella comprensione della musica.
Un’esperienza che ti ha dato slancio…
Nella parte di Scozia in cui sono cresciuta con la mia famiglia, è piuttosto diffusa la pratica musicale amatoriale, e questo è molto bello: dal coro, alla ricca tradizione popolare. Però non ci sono ancora concerti di un certo spessore e da qui il mio desiderio di realizzare qualcosa in questo senso, proprio attraverso il buon potenziale del territorio.
C’è stata una scintilla?
Un giorno, parlando col mio professore di pianoforte gli ho detto che in futuro avrei voluto realizzare un Festival di musica in quei luoghi. Dopo qualche anno, a una delle ultime lezioni della laurea triennale, lui stesso mi ha chiesto: «Allora, quando fai il tuo Festival?».
E tu?
Forse più cosciente delle difficoltà, ho risposto: «Mah, forse tra 10, 15 anni». Lui però mi ha spiazzato: «Cosa avrai di più o di diverso tra 15 anni?». Mi stava incoraggiando a partire subito.
La forza di una parola…
Non solo: per aiutarmi mi ha messo in contatto con una signora che vive nella mia stessa città. Una donna molto appassionata di musica e piena di esperienza nella gestione di Festival ed eventi musicali.
Cosa hai imparato da questo incontro?
Con lei ho cominciato a immaginare un’offerta musicale attraverso concerti per la nostra comunità: proposte che nel mio territorio mancano, a differenza di Londra, dove vivo adesso e dove continuo a studiare. Lì, le occasioni per ascoltare concerti sono tantissime.
Come hai trasformato il desiderio in azione?
Il mio sentimento principale, in realtà, all’inizio non era tanto di “produrre” concerti, quanto di restituire alle persone i frutti del mio studio e della profonda esperienza musicale vissuta.
Facciamo un passo indietro, mi hai accennato a tua nonna Helenè e al fatto che ha lavorato per tanto tempo con Giancarlo Menotti. Questa atmosfera culturale nella tua famiglia ti ha ispirato?
Mia nonna dirà che lei non c’entra con la musica, ma effettivamente ha respirato un fervido ambiente artistico che spazia dalla musica al teatro e alla danza. È stata spesso in Italia e mi ha sempre incoraggiato a proseguire sulla strada della musica. Tra l’altro, c’è un episodio che vede anche mio padre testimone.
Quale?
Un intimo amico di Menotti, il compositore americano Samuel Barber, ha passato l’ultimo Natale della sua vita a casa di nonna, insieme ad altre persone e a mio papà dodicenne.
Quali sono stati i passi organizzativi, dopo la decisione di realizzare il Festival?
Pensando di non avere le abilità per la realizzazione del Festival, ho scritto prima a un direttore musicale, e poi ho chiesto consigli a tante persone.
Musicisti come te?
Molti di loro sì, tra cui una cara amica, pianista anche lei. Ho passato l’intera estate scorsa a chiedere, a informarmi e ho ricevuto da tutti, con molta generosità, preziosi consigli. Mi sono rivolta anche al sindaco, a un economista e al ministro della Cattedrale della mia città, che è un punto di riferimento importante per tutti i cittadini.
L’importanza del noi, mi sembra di poter dire.
Tutti mi hanno sostenuto nella realizzazione di questo sogno. Ho chiesto ai miei amici musicisti quale potesse essere il loro desiderio da realizzare insieme, e ho messo il mio sogno nelle mani di Dio, attenta a seguire i segnali che via via le circostanze mi indicavano.
Come è nata la scelta del titolo: Three Rivers Festival?
Dopo aver redatto un documento legale, che mi ha impegnata tanto, ho potuto occuparmi della parte artistica e abbiamo scelto il titolo Three Rivers Festival perché la città di Stirling è attraversata da tre fiumi: River Forth, River Teith e Allen Water. Tutti e tre scorrono verso le zone periferiche, permettendoci quindi di avvicinarci anche ai luoghi della città più isolati e meno attivi sul piano culturale, quelli con meno opportunità in questo ambito.
Avete lavorato anche sui temi?
Da questo punto di vista ambivo a costruire un filo conduttore che unisse i vari concerti del Festival, ma allo stesso tempo volevo lasciare liberi i musicisti di scegliere il proprio programma. Pertanto, ho optato per un tema che avesse per titolo il punto in cui nasce un fiume, ossia Source, sorgente. Origine del fiume. Nella traduzione italiana può essere compreso anche come fonte, causa…
In che modo si è svolto il Festival?
All’inizio avevo pensato di organizzare tre concerti in una chiesa, poi le cose sono andate oltre le aspettative e sono riuscita a organizzare sei concerti in quattro giorni in posti diversi e molto suggestivi per far confluire la creatività dell’arte.
Per esempio?
La scelta del luogo era determinante per la riuscita del Festival, per l’acustica e per la costruzione della sua identità. Occorrevano spazi che fossero in sintonia con il programma del concerto.
Da qui la scelta…
Così abbiamo scelto posti che rappresentassero realtà ambientali e atmosfere molto diverse tra loro: dalla Cattedrale, cuore spirituale e artistico della città, all’Università, luogo di formazione culturale, fino alla Galleria d’arte, spazio adibito a vivere le opere d’arte in città.
Avete avuto riscontri dal pubblico?
Questa scelta accurata è stata molto gradita dal pubblico, insieme alla possibilità offertagli di poter selezionare gli orari dei concerti in base alle proprie esigenze.
Sempre nell’ottica di costruire una forte relazione…
L’organizzazione degli eventi musicali è avvenuta seguendo una scansione oraria articolata in momenti diversi della giornata, registrando un’affluenza sempre grande in tutte le fasce orarie.
Proporre concerti in tempi differenti, rispettando i ritmi individuali della routine, in scenari affascinanti in cui arte, cultura e spiritualità si incontrano catturando l’immaginazione, ha contribuito a conseguire un successo di pubblico?
Sì, in totale abbiamo avuto un’affluenza corrispondente a più di 700 persone, appartenenti a diverse categorie sociali e anagrafiche. Non sapevamo bene come sarebbe andata, avevamo venduto dei biglietti in anticipo, ma poi tanti sono venuti all’ultimo momento, e i concerti sono stati sempre pieni di gente.
Chi sono i musicisti che hai invitato? Hai seguito un criterio nella scelta?
Ho voluto chiamare musicisti che avessero tanta energia e vitalità da trasmettere; tuttavia, desideravo che loro fossero non solo dei veri e propri professionisti, ma anche persone disponibili a collaborare insieme nella realizzazione del Festival attraverso mansioni accessorie. Lo scopo era di offrire al pubblico uno spettacolo di grande livello che coniugasse la bellezza dell’arte e la leggerezza del divertimento.
Ho voluto, inoltre, estendere nella cerchia degli artisti sia musicisti locali che stranieri, per rispondere ad esigenze eterogenee e per dare, così, al Festival un carattere internazionale attraverso l’interazione tra culture differenti.
Alcuni esempi?
Dunque, ho invitato una pianista veramente brava che vive in Scozia, un duo di artisti di nazionalità inglese e sudafricana che hanno realizzato uno spettacolo-musicale per bambini. Poi un trio da Londra, un duo voce e pianoforte (la pianista era la mia insegnante quando ero piccola), due artisti locali che hanno eseguito un concerto improvvisato con l’arte figurativa. Questi ultimi, infatti, dopo aver fatto un’esplorazione del posto (un vecchio eremo religioso) ed aver realizzato delle rappresentazioni grafico-pittoriche di alcuni elementi caratteristici del luogo, come gli uccelli e l’acqua del fiume, hanno eseguito un concerto ispirato all’ambiente naturale di quella località e alle impressioni percepite.
Bellissimo.
Nell’ultimo concerto è intervenuto un quintetto (archi e pianoforte) che ha suonato insieme al famoso Quintetto della Trota di Schubert un brano di un giovane compositore.
Una domanda più personale: sei credente, cristiana e impegnata nella tensione alla fraternità universale. Tutto questo ha avuto delle ricadute sul Festival?
Sì. Il mio intento era di calare questo spirito di fraternità a tutto tondo nella musica. In particolare, volevo trasmettere alle persone, attraverso la musica, la gioia. Non un sentimento di euforia ma una gioia vera e piena che viene dallo Spirito. In tal senso, il concerto diventa un momento d’incontro tra le persone, che insieme possono ritrovare la loro umanità proprio nell’armonia e nell’incanto della musica.
Tornano le parole incontro, relazione e noi…
Il Festival si è connotato per la sua identità condivisa tra artisti e spettatori. Non a caso, tantissime persone della comunità si sono offerte per dare il proprio contributo a questa iniziativa nuova che avevo messo in atto. Tutto questo ci ha permesso di vivere un’esperienza profondamente umana. Ero molto colpita da cosa dicevano alcune persone dopo i concerti, colpite dalla bellezza della musica e del clima trovato. Alcune chiedevano addirittura se potevano aiutare, portare qualcosa da mangiare, trasporti, ecc. Era veramente impressionante!
Com’era il rapporto tra i musicisti che hanno animato il Festival?
Si è instaurata una relazione molto intensa. Tutti gli artisti coinvolti sono rimasti per l’intera durata del Festival; la loro partecipazione non si è basata esclusivamente sulla propria esibizione o performance musicale, ma anche sulla cura di tutti i dettagli necessari per la riuscita dei concerti. Chi quella sera non doveva suonare, magari aiutava a sistemare al meglio la sala, offrendo la propria disponibilità a collaborare in un rapporto di reciprocità. Così, si sono creati tra noi legami di amicizia profonda.
Pensi che questa esperienza possa continuare?
Spero di sì, anzi, sicuro, sì! Perché questo Festival è stato vissuto da tutti noi come un bellissimo viaggio in cui abbiamo condiviso in maniera significativa le nostre esperienze, emozioni e sentimenti. È stato il “nostro Festival”, espressione della nostra identità.
Quali sono le idee per il futuro?
Per l’anno prossimo abbiamo già valutato la riproposta del Festival con il nuovo titolo: Bridges, Ponti. Questa scelta tematica si presenta bella e significativa proprio sul profilo delle relazioni umane. Sono sicura che anche il prossimo Festival lascerà un segno indelebile nel pubblico e anche nella storia di tutti noi.
Grazie Catherine per la tua dedizione.
Grazie a te, per avermi dato la possibilità di raccontare una storia di musica, di umanità vera e bella, con la musica.
Info sul Festival: