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Caso Durigon, una storia italiana

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Le dimissioni del sottosegretario al ministero dell’Economia fanno emergere una questione rimossa nel nostro Paese. Il perdurante rapporto con il ventennio fascista

Il sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, nel mezzo di una crisi del caso Afghanistan, si è dimesso dopo una forte campagna di pressione esercitata all’interno della compagine governativa e a livello dell’opinione pubblica con l’iniziativa de Il Fatto quotidiano che ha promosso una petizione online firmata da oltre 160 mila persone.

Le premesse della scelta dell’esponente laziale della Lega si potevano intuire dall’ultimo confronto avuto tra Draghi e Salvini in merito ai contrasti evidenti all’interno dell’esecutivo su vari fronti.

Durigon è accusato di essere un nostalgico del regime fascista e, allo stesso tempo, di aver avuto rapporti poco chiari con esponenti della malavita organizzata ben radicata nella provincia di Latina.

Durigon

L’ormai ex sottosegretario incarna un pezzo di storia italiana. Come rivela il suo cognome, proviene da una delle tante famiglie di coloni del Nord Italia che hanno beneficiato della grande opera della bonifica della pianura pontina. È arcinota la gratitudine e il legame con l’epopea mussoliniana che ancora resiste in quel territorio dove si organizzano i viaggi a Predappio (luogo di nascita del duce) come fosse un vero e proprio santuario. La modalità della pacificazione avvenuta nel nostro Paese nel dopoguerra non ha portato all’accertamento dei crimini di un regime come avvenuto con il processo di Norimberga o quello di Tokyo. La pregiudiziale antifascista inserita in Costituzione non ha evitato che si tollerasse l’esistenza di un partito presente in Parlamento che manifestava uno stretto legame, perfino nella sigla e nella simbologia, con una dittatura che aveva raggiunto un consenso di massa fino al disastro della sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Nella bonifica della pianura pontina si mescolavano anche componenti del primitivo programma fascista di piazza San Sepolcro che riprendeva suggestioni del socialismo rivoluzionario da cui provenivano oltre allo stesso Mussolini il sindacalista Rossoni che è al centro del grande romanzo storico “Canale Mussolini”, il capolavoro di Antonio Pennacchi, recentemente scomparso. Un racconto corale che aiuta a capire come mai, dopo il crollo della prima Repubblica causata anche da Tangentopoli, sia tornato a fare il sindaco di Latina Aimone Finestra, l’ultimo podestà della città battezzata con il nome originale di Littoria (in onore di quei fasci littori dell’antica Roma che sono presenti, ad esempio, anche nell’arredo del congresso statunitense).

Finestra, presidente dell’associazione combattenti della Repubblica di Salò, ripristinò il nome originario del parco comunale intitolato a Arnaldo Mussolini nel 1931, il fratello di Benito morto improvvisamente in quell’anno suscitando grande commozione in un’opinione pubblica sedotta dall’ideologia fascista a partire dalle sue classi dirigenti e da gran parte degli intellettuali.

Damiano Coletta, il primo sindaco non appartenente alla destra nel periodo della seconda Repubblica, ha avuto l’idea di bonificare una certa memoria collettiva della città, dove tra l’altro troneggia il palazzo a forma di M, intitolando il parco alla memoria di Falcone e Borsellino. Una rifondazione morale intesa anche come messaggio rivolto alla crescente presenza delle mafie come risulta dai rapporti della Direzione nazionale antimafia e dalla vicenda emblematica di Pasquale Maietta, presidente del Latina calcio, consigliere comunale e poi deputato, arrestato nel 2018 per il coinvolgimento in questioni di malavita organizzata ed espulso dal partito Fratelli d’Italia.

In questo contesto si comprende il peso che può aver avuto la recente dichiarazione di Durigon a favore di una toponomastica che mantenesse, con il ritorno al nome del fratello di Mussolini, l’identità della città dove il parlamentare leghista è cresciuto come dirigente sindacale dell’Ugl, l’ex Cisnal che ha esibito un profilo di destra sociale all’interno dell’Msi.

Come in precedenti dichiarazioni, nella sua lettera di dimissioni Durigon rivendica il suo radicamento nei valori cristiani, da giovane ha frequentato la gioventù francescana, e la sua opposizione ad ogni dittatura. Dichiara di non essere mai stato fascista ma buona parte della lunga lettera è un’esaltazione della grande opera della bonifica dell’Agro pontino «il recupero di un’area con una superficie di circa 75.000 ettari, che per secoli è stata flagellata dalla malaria».

Dalle colone de Il Tempo, Francesco Starace, parla di ipocrisia nel caso Durigon facendo notare il mancato scandalo per il conflitto di interessi esistente nell’assunzione presso Leonardo, del figlio di Bruno Tabacci, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio.

Ma il vero obiettivo su cui punta la Lega è la rimozione della ministra dell’Interno Lamorgese, accusata di lassismo sull’immigrazioni e di non aver gestito in maniera efficiente la repressione di un grande assembramento di giovani nel viterbese, causa di focolai da Covid 19.

Salvini, stando al governo, non può sostenere la mozione di sfiducia contro la ministra proposta da Fratelli d’Italia. E questo rappresenta solo uno dei tanti fronti dove si consuma una competizione sotterranea tra i due partiti in vista della supremazia nelle prossime elezioni politiche dove si prevede una vittoria dello schieramento di destra. Vittoria che potrebbe essere schiacciante in base alla legge elettorale prescelta.

Fermo restando tutta la questione, da accertare, dei legami anche solo ambientali con un tessuto sociale infiltrato dalle mafie, il caso Durigon fa emergere la questione dell’eredità del fascismo nella politica e nella società italiana. Un argomento che riguarda in particolare il partito di Giorgia Meloni che è filiazione diretta del Movimento sociale di Graziani e Almirante.

La fortuna di Gianfranco Fini, leader storico di Alleanza Nazionale e presidente della Camera, travolto poi da uno scandalo legato ad una società dell’azzardo, cominciò a vacillare quando definì il fascismo come “male assoluto”. È un giudizio realmente condiviso nella destra odierna a prescindere dal ricorso alla bonifica pontina tra le “cose buone” che ha fatto Mussolini?

Le dimissioni di Durigon sono anche importanti per quanto riguarda le deleghe ricevute in materia di azzardo, un settore che l’ex sottosegretario aveva intenzione di sostenere come leva della ripresa economic,a promuovendo una sorta di stati generali sull’azzardo legale in autunno. Cosa accadrà ora? A questo è un tema da approfondire a parte.

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