Caritas: un presidio contro lo sfruttamento del lavoro

«Il “lavoro schiavo” oggi è moneta corrente!» ha detto papa Francesco nella Giornata mondiale dei migranti e rifugiati. Il caso italiano e l’impegno della Chiesa
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È partito dal luglio 2014 il progetto Presidio promosso dalla Caritas sul territorio di dieci diocesi: Acerenza, Caserta, Foggia-Bovino, Melfi-Rapolla-Venosa, Nardò-Gallipoli, Oppido-Palmi (Rosarno), Ragusa, Saluzzo, Teggiano-Policastro (piana del Sele), Trani-Barletta-Bisceglie.

Obiettivo del progetto è quello di garantire una presenza costante su quei territori che vivono stagionalmente l’arrivo di lavoratori attraverso un presidio di operatori Caritas pronti ad offrire, oltre ad un’assistenza per i bisogni più immediati, anche un’assistenza legale e sanitaria e un aiuto per i documenti di soggiorno e di lavoro.

Si tratta nel complesso di un centinaio di operatori che girano le campagne con dei furgoni o dei camper riconoscibili grazie al logo di progetto e possono seguire così, tramite anche una banca dati, gli spostamenti dei lavoratori garantendo assistenza in ogni luogo dove c’è un Presidio Caritas.

La decisione di avviare un “intervento sistemico”, finanziato dalla Conferenza episcopale italiana, è nata, come ha dichiarato la stessa organizzazione caritativa ecclesiale, dall’ «assenza di servizi erogati dalle istituzioni pubbliche locali» non solo nella  fornitura di beni di prima necessità ma anche nella «presa in carico della situazione giuridico- lavorativa per contrastare la piaga del caporalato».

Dopo circa 12 mesi di attività la Caritas, nel luglio 2015,  ha potuto evidenziare i dati emersi da tale lavoro all’interno dello spazio dell’Expo milanese dedicata all’alimentazione. Il primo dato significativo riguarda la natura del fenomeno che, in alcune realtà come Teggiano Ragusa e Trani, non è affatto solo stagionale ma presente tutto l’anno «grazie al sempre più ampio ricorso alle coltivazioni in serra e alla diffusione delle pratiche di sfruttamento in settori nascosti, in ambiti e ambienti poco visibili». Contrariamente a quanto si possa immaginare, «le nazionalità più stanziali e più segregate sono le comunitarie: rumeni e bulgari vivono nascostamente la loro condizione di sfruttamento», una segregazione ipocrita per motivi di immagine che la Caritas vuole contribuire a denunciare come «vergogna per l’Italia e per l’Europa».

Il progetto ha fatto emergere finora, al giugno 2015, la condizione di sfruttamento di 2 mila lavoratori  provenienti da numerose nazionalità (Burkina Faso, Ghana, Marocco, Tunisia, Romania, Bulgaria, ecc.) e quasi sempre provenienti da aree rurali dei propri Paesi. Per il momento, dai dieci territori del Presidio Caritas sono poche le donne lavoratrici prese in carico che richiedono aiuto ma nel loro caso, oltre lo sfruttamento e la segregazione compare il fenomeno odioso della «violenza, sfruttamento sessuale e persino pratiche chirurgiche finalizzate, ad esempio, a interventi abortivi».

Oltre il 70 per cento dei lavoratori oggetto di sfruttamento si è indebitato per pagare le spese di viaggio in Italia e comunque deve impegnare parte della sua paga per   coprire le spese di vitto, alloggio e trasporti forniti dal datore di lavoro e dai suoi caporali.

Alla violazione sistematica dei diritti del lavoro si associa la «pratica del grigio» quando cioè viene data «alla prestazione lavorativa solo una veste di apparente rispetto della normativa, violandola nella sostanza, attraverso la mancata corresponsione della retribuzione indicata in busta paga, ovvero la sostituzione dell’identità del lavoratore».

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