Card. Erdö: «Aprire alla riconciliazione tra i popoli»

Intervista esclusiva con Città Nuova del card. Péter Erdö, arcivescovo di Esztergom, primate di Ungheria e presidente del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa
card. Péter Erdö

Cosa le rimane in cuore al termine di questo Genfest di Budapest?
«Lavorare per l’umanità è un compito elevato per i cristiani. Lo slogan del Genfest era Let’s bridge: costruire ponti vuol dire innanzitutto sapere da dove si parte e dove si va, quindi conoscerci, perché non è una genuina opera per l’umanità quella che porta una cultura a sopprimere le altre. Bisogna anche compiere sforzi adeguati per promuovere una vera cultura dell’amore: questo costruisce la vera unità. Non si tratta di fare opera di globalizzazione, che comunque andrebbe avanti senza di noi, ma umanizzare la globalizzazione, scoprire la volontà di Dio in tutto quanto sta accadendo. Bisogna mettere l’accento sul “come”: come costruiamo cioè questi ponti? Come lavoriamo per l’unità dell’umanità?»
 
L’Europa conosce una forte e crescente secolarizzazione. Quali le sfide per la cristianità?
«La secolarizzazione in Europa è un fenomeno molto complesso: se da una parte sembra che la vita quotidiana non abbia agganci col soprannaturale, dall’altra nella grande maggioranza della popolazione c’è un vivo desiderio di Dio, ed esiste un qualche rapporto con la realtà religiosa, anche se con elementi superstiziosi e con nuove fedi. Grazie a Dio noi abbiamo il messaggio del Cristo, che è in grado di rispondere a tutti e in ogni epoca, ma deve trovare ogni volta nuove forme di evangelizzazione. Si tratta di una sfida molteplice nel nostro mondo occidentale: la cultura audiovisiva, digitale, di distrazione continua, in cui la gente ha difficoltà a leggere e approfondire qualsiasi pensiero non aiuta la fede: dobbiamo diffondere quei valori culturali che rendono possibile una buona recezione della nostra fede. Le verità formulate in forme verbali debbono essere conosciute, e la Bibbia è scritta, e quindi va letta e meditata. D’altra parte dobbiamo usare tutti i mezzi tecnologici a disposizione e tutti i registri che esistono per avvicinare i giovani alla buona novella. Senza dimenticare che la testimonianza concreta, reale, è al cuore dell’evangelizzazione, il servizio ai poveri ad esempio».
 
Quale il ruolo dei nuovi carismi in questo contesto?
«I movimenti nella Chiesa costituiscono dei segni importanti. Nell’ultimo secolo ne sono sorti un numero considerevole. Hanno alcune caratteristiche comuni che fanno pensare, come l’avere al proprio cuore dei gruppi di persone impegnate, ma anche altri aderenti che lo sono via via di meno, fino ai non credenti. In questi grandi movimenti esiste una complementarietà che dovrebbe essere di tutta la chiesa, quella tra sacerdoti, religiosi, laici, gente che cerca ancora la propria fede. Tutti dovrebbero cooperare al bene comune e all’evangelizzazione».
 
In Europa l’immigrazione crescente porta nuove fedi e nuove comunità di credenti…
«C’è una nuova multireligiosità, è vero, ma nel contempo c’è una gran quantità di persone che hanno una mentalità che li porta a considerare la religione come un grande mercato: uno prende alcuni elementi da una religione e li mette nel proprio cestino… Ma le statistiche dimostrano che questa gente è molto meno sicura nei rapporti sociali. L’appartenenza ad una Chiesa costituita è utile anche per il proprio posizionamento sociale, per avere tolleranza nei confronti di altre fedi e confessioni, perché si ha una chiara identità».
 
Il corteo del Genfest ha attraversato la città suscitando simpatia e partecipazione. Ritiene che questa manifestazione sia stata utile per Budapest?
«Sì, questa grande manifestazione pubblica ha richiamato l’attenzione della gente al fatto religioso, ma una religiosità aperta al mondo. La religione non deve essere espressione di egoismo nazionale, ma aprire alla riconciliazione tra i popoli. Questa una delle lezioni del Genfest alla città di Budapest».

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