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Cambiare il mondo dopo il 900

a cura di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Papa Francesco incontrò il 4 febbraio 2017  una folta rappresentanza dell’Economia di comunione, circa mille e 200 persone, pronunciando un discorso che resta un vero e proprio manifesto di pensiero e azione da approfondire e rileggere. Riprendiamo in tal senso una lettura di quel testo con un’intervista fatta a Paolo Cacciari, storico esponente della sinistra radicale e ora attento da tempo al variegato movimento della decrescita.

Cambiare il mondo. Crllo Muro di Berlino. (AP Photo/Lionel Cironneau, File)

Lei è stato uno dei primi a commentare con grande interesse l’intervento di papa Francesco all’Economia di Comunione che ha invitato ad intervenire sulle cause strutturali dell’economia che uccide. Prendendo ad esempio la parabola evangelica del samaritano, il papa afferma che bisogna intervenire prima che la vittima sia bastonata e derubata dai briganti. Non si tratta di un compito inaccessibile per chi ha visto il crollo delle ideologie del Novecento quando si pensava di poter cambiare il mondo?
A me sembra che con gli ultimi discorsi (nel recente incontro con gli imprenditori dell’Economia di Comunione, per la celebrazione della Giornata mondiale della pace il 1° gennaio, al III incontro mondiale con i movimenti popolari lo scorso novembre) papa Bergoglio abbia chiarito bene il suo pensiero. Se mi è permesso semplificare molto direi che il Papa non si è limitato a condannare i peccati del mondo (la violenza, la fame, l’ingiustizia, la distruzione dell’ambiente naturale…), ma ha finalmente nominato il peccatore: il sistema economico capitalista in quanto tale. Non solo i suoi eccessi, gli abusi, le patologie del turbocapitalismo neoliberista che abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni. Come aveva descritto e documentato nella Laudato si’ c’è una fisiologia del capitalismo come sistema di relazioni produttive contrattualizzate che rompe i legami sociali, premia i più forti, produce esclusione, marginalizzazione, “scarti” umani. Peggio, plasma il carattere degli individui premiando i suoi impulsi peggiori: l’egoismo, la competitività, l’individualismo proprietario. Queste caratteristiche del capitalismo sono emerse con sempre più evidenza proprio grazie al crollo delle varie ideologie otto e novecentesche (liberiste e collettiviste) che ne celavano l’essenza comune. Il leader comunista cinese della grande modernizzazione, Deng Xiaoping affermava che “arricchirsi è glorioso”. È per questa stessa ragione – il denaro come la più potente forma di dominio – che oggi un supermiliardario senza altra attitudine se non quella dell’ostentazione della propria ricchezza può entrare da padrone nella Casa Bianca.

Analisi condivise da molti, ma le parole del papa non sembrano far parte di un discorso fuori tempo massimo?
Tu mi chiedi se non sia troppo tardi per invertire il corso della storia. Se non sia irrealistico pensare di poter superare il capitalismo. Al contrario, penso che mai come oggi siano evidenti le aporie e i limiti del sistema socio-economico esistente. Non vorrei essere frainteso, ma penso che la loro crisi possa essere la nostra liberazione. La incapacità di dare risposte alle esigenze reali delle popolazioni della Terra (non solo degli ultimi, dei dannati della Terra, ma anche del “ceto medio” impoverito) rende evidente, oltre che urgente, la ricerca di soluzioni alternative. Un’altra economia, ora è possibile. Innumerevoli sono le esperienze in essere. Quelle degli imprenditori che si rifanno a Chiara Lubich, quelle dei contadini di Via Campesina, quelle dei distretti e delle filiere dell’economia solidale, quelle delle monete locali complementari, quelle dei gruppi di acquisto solidali, quelle degli eco villaggi e dei cohousing, quelle delle botteghe equo e solidali, quelle della finanza etica… “Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie”, da scritto Bergoglio (Laudato si’, 219).

Tale visione esigente molte volte si perde in derive filantropiche che Francesco prende invece di mira come fuorvianti. Quali sono i segni per capire che si toccano le leve reali dell’economia?
Certo, c’è sempre il concreto pericolo che le buone prassi comunitarie possano venire assorbite, cooptate e snaturate dal sistema dominante. Tutto il cosiddetto Terzo Settore (cooperative sociali, volontariato, associazionismo…) si trova stretto tra un “primo” settore privato che lo vorrebbe usare come testa di ponte per allargare i suoi business e un “secondo” settore pubblico-statale che lo vorrebbe usare per esternalizzare a basso costo la fornitura di servizi di pubblica utilità. Non credo però che esista la possibilità di certificare “a tavolino” l’autenticità delle imprese sociali non orientate al profitto e all’accumulazione di denaro. Devono essere le comunità di riferimento (lavoratori, fornitori, fruitori, abitanti) in grado di esercitare il controllo su cosa e quanto viene prodotto, usando quali processi, con quali impatti ambientali, per soddisfare la domanda di quali gruppi sociali e bisogni reali. Uscire dal capitalismo è, cioè, un’impresa di estensione della democrazia.

Francesco ha criticato la teoria della ricaduta favorevole tipica del liberismo. Lo scontro non è con il capitalismo rapace a favore di quello compassionevole, ma del sistema in se’. Cosa vuol dire? Per non essere ridotti a piccole comunità che si preparano all’implosione strutturale e quindi ridursi a nicchia autoconsolatoria, gli esponenti dell’economia civile distinguono tra economia di mercato, che ha nella sua natura la necessità della relazione e della felicità pubblica, dal sistema capitalista. È una distinzione reale e condivisile su cui poter ragionare?
L’ideologia liberista del libero mercato è ben descritta dal trikcle-down effect, dallo “sgocciolamento”. Non importa se i ricchi si arricchiscono sempre di più, qualche briciola cadrà dal loro tavolo e sfamerà i poveri. Per giustificare questa tremenda tendenza alla crescita per la crescita senza uguaglianza si sono sprecate metafore. Una dice: “Quando la marea sale si alzano tutte le barche che sono nel porto”. Oppure: “Se la torta si allarga tutte le fette si ingrandiscono”. Peccato che la farina sia finita da tempo (le risorse naturali sono sempre più rarefatte) e che il manico del coltello sia sempre in mano del più forte. Ora la questione – mi si perdoni ancora la semplificazione – è se sia possibile immaginare un capitalismo un po’ più compassionevole, sostenibile e perfino più umano, o se invece non sia necessario cambiare paradigma alla radice. Il capitalismo pensa che il lavoro e le risorse naturali siano semplici ingredienti, strumenti e mezzi da utilizzare nel processo produttivo finalizzato a realizzare una quantità sempre maggiore di merci da vendere sui mercati. Molti di noi pensano che sia giunto il momento di rovesciare di 360° questo modo di agire. Il fine della cooperazione sociale, la ragione stessa dello stare assieme in società e del darsi istituzioni comuni, deve essere migliorare le condizioni del lavoro e dell’ambiente naturale. Non vendere e comprare merci. La crescita economica misurata in Pil è diventata un dogma, una religione a cui tutti devono sottomettersi. È possibile invece riconcettualizzare la nozione di economia (e di ricchezza) come cura di sé, degli altri, del mondo intero. Chiediamo una rivoluzione nelle scienze economiche come è avvenuto in altri campi (nella fisica dei quanti, nella medicina dei determinati ambientali delle malattie, nella biologia delle relazioni, nella psicanalisi…): dalla quantità alla qualità, dall’interesse individuale al benessere comune, dall’individualismo proprietario alla condivisione responsabile. Il che non significa negare che il mercato (il libero componimento della domanda e dell’offerta per alcuni beni e servizi) possa continuare ad essere un buon sistema per massimizzare i benefici, ma escludo che possa funzionare per ogni tipo di bene e di servizio. Per esempio, per i beni comuni naturali o per le infrastrutture di base o, tantomeno, per le monete e i servizi finanziari. Dobbiamo cominciare a immaginare una economia plurale, dove possano coesistere sistemi di relazioni economiche diverse: lo scambio non monetario, la reciprocità del dono, l’autoproduzione, la sussistenza… Certo una riconversione degli apparati e dell’organizzazione produttiva può avvenire solo nel quadro di una conversione spirituale, di una “rivoluzione culturale”.

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