Burocrazia, ostacolo al rilancio del Paese

I provvedimenti del governo mettono in campo notevoli risorse necessarie per risollevare le sorti dell’Italia nell’emergenza da pandemia. Ma occorre rimuovere il groviglio della burocrazia. Un esempio pratico da Genova  
Domenico Mattei da Pixabay

Due buone notizie: il presidente Mattarella firma il decreto da 55 miliardi di euro per uscire dall’incubo del Covid-19, mentre Macron propone con la Merkel alla Comunità europea di deliberare un finanziamento di 500 miliardi a fondo perduto in favore delle nazioni più colpite dalla pandemia.

Notizie che chi dopo mesi di fermata sta tentando di riattivare le attività economiche e riportare al lavoro almeno parte dei collaboratori accoglie con scarso ottimismo, forse perché ha già constatato che agli annunci dei telegiornali non sempre seguono dei fatti: «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare». In questo contesto il preverbio si può tradurre così: «Tra parlamento e fatti c’è di mezzo la burocrazia», mostro inafferrabile che i legislatori dicono di voler ingabbiare, senza rendersi conto che sono proprio loro ad averlo strutturato e irrobustito.

La burocrazia inizia al più alto livello, quello dei servizi legislativi del Parlamento, che in pratica riscrivono le leggi prima che esse siano approvate, per controllare che non confliggano con leggi precedenti: il risultato è di renderle incomprensibili, grazie all’enorme numero di rimandi a commi di leggi precedenti, così solo loro le sapranno interpretare.

Sono servizi costituiti da esperti funzionari, esseri umani come noi: non c’è da stupirsi quindi se qualcuno cade nella tentazione di aggiungere una virgola o una parolina per favorire un amico; quando poi il provvedimento sembra proprio inopportuno, si può aggiungere un comma a prima vista innocuo che un domani può servire da “bomba a tempo” perché in grado di inficiare la legge tramite un ricorso al TAR o al Consiglio di Stato.

A legge approvata, tocca ai dirigenti e funzionari dei ministeri stendere i “provvedimenti attuativi”, le regole in dettaglio per la loro applicazione, tenendo conto anche di altre leggi vigenti come la salvaguardia dalle infiltrazioni mafiose: a volte tale stesura richiede mesi, se non anni, mentre i cittadini rimangono in attesa dei risultati, che magari giungono quando il governo è già cambiato.

Per superare questo ostacolo, ultimamente si sono inventati i commissari, funzionari pubblici a cui viene chiesto di decidere autonomamente le procedure di attuazione: da un estremo all’altro.

Quando poi finalmente i fondi diventano disponibili, i dirigenti regionali o comunali e ancor più i loro funzionari, che devono firmare le erogazioni, esitano a prendersi delle responsabilità, a volte rimpallandosele, perché le nostre leggi giustizialiste hanno stabilito che, se commettono errori, ne diventano responsabili anche sotto il profilo civile. Per cautelarsi richiedono così il massimo immaginabile di documentazioni, che i malandrini comunque riescono a procurarsi, ma che hanno il risultato di mettere in croce la maggioranza di onesti.

È logico perseguire chi commette reati, ma degli eventuali errori dei funzionari dovrebbero essere i loro dirigenti e l’amministrazione nel suo complesso a farsene carico, tramite assicurazioni contro gli infortuni professionali e soprattutto ponendo nei posti di responsabilità persone di effettiva fiducia e competenza.

Detto questo, molto può fare la buona volontà dei funzionari se nello stilare le regole si mettono nei panni di chi le dovrà seguire,  quando cioè si ricordano di esercitare una maggiore empatia, ricordando che non sono inossidabili rappresentanti di un potere centrale a cui uno stipendio è comunque assicurato, ma servitori civili, “civil servant” come dicono gli anglosassoni, con una vera responsabilità morale verso i cittadini.

Riporto un piccolo esempio di questi giorni: per il finanziamento regionale del 60% del costo delle attrezzature per il Lavoro a Distanza delle piccole imprese, era necessario inoltrare domanda dal 5 all’8 maggio, accompagnata da un attestato di pagamento di un bollo di 16 euro da effettuarsi in posta o in banca, esclusa la via telematica.

Recuperato il bollo, la domanda andava scannerizzata, ma prima firmata dal responsabile dell’azienda: però con la firma digitale, quella custodita dal commercialista! Terminata questa corsa ad ostacoli, recuperata tutta la documentazione per gli acquisti previsti, per avere una probabilità di ottenere il finanziamento occorreva inviare alle 8.30 del 5 maggio il tutto per via telematica alla finanziaria regionale ligure, in modo che i suoi funzionari potessero controllare e ammettere l’azienda al finanziamento. Il numero delle pratiche è di solito elevato, così quelle ricevute il primo giorno esauriscono l’importo stanziato: il tutto nella speranza di ricevere qualche migliaio di euro.

I 16 euro da pagare in posta e la firma da chiedere al commercialista pur potendola fare di persona rimarranno a mente degli imprenditori come un sopruso della burocrazia; questo a Genova, nella città esibita per la sua capacità di resilienza, perché ha completato grazie a un commissario in tempi record le strutture del nuovo ponte sul Polcevera al posto di quello crollato il 14 agosto 2018.

Il bollo poteva essere sottratto dal finanziamento ricevuto, la firma digitale poteva essere richiesta prima della sua erogazione: suggerimenti che i dirigenti avrebbero dovuto dare ai politici prima del varo del provvedimento, o forse i politici lo avrebbero dovuto leggere con attenzione prima di votarlo: questo se entrambi si fossero ricordati di essere a servizio dei cittadini.

 

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