Burgo chiusa, lavoratori in presidio

Organizzata una mobilitazione permanente dopo la chiusura dell'azienda e l'avvio della cassa integrazione per i dipendenti
Operai della Burgo di Mantova

Un assegno di 800 euro al posto dei 1.400-1.500 euro di un salario normale: è quanto andranno a percepire i 188 operai della Burgo di Mantova in cassa integrazione da qualche settimana. Non c’è stata rottura sindacale sugli ammortizzatori sociali che dovranno attutire l’impatto della chiusura della fabbrica dopo 111 anni di attività, ma sembra certo che sarà attivata la cassa integrazione per tre anni anziché uno, per poi avviare tavoli ministeriali per provare a far ripartire la fabbrica, ma in cambio di condizioni contrattuali meno favorevoli se lo scenario si concretizzerà.

Alla riunione negli uffici della Regione, con Cgil, Cisl e Uil nazionali i sindacati non hanno voluto accettare la proposta dell’azienda di trasformare la cassa integrazione per cessazione di attività in quella per crisi. «Tutti i presenti hanno firmato il verbale di non accordo – ha confermato Gian Paolo Franzini della rsu Cgil al termine dell’incontro milanese -. Non potevamo accettare anche l’umiliazione del malloppo aggiuntivo proposto dalla proprietà».

Le due proposte su cui si è dibattuto sono state quella riguardo ad un anno di cassaintegrazione per cessazione di attività e poi la mobilità o di un anno di cassa integrazione per crisi (rinnovabile per un altro anno e a cui, trattando, possono essere aggiunti altri otto mesi). Con quest’ultima forma di ammortizzatore sociale si sarebbe lasciata aperta la porta ad un’eventuale riapertura della cartiera, ma i sindacati avrebbero dovuto accettare il taglio dell’ organico da 188 a 140 lavoratori e l’addio al contratto integrativo.

«L’azienda andrà avanti per conto suo, ma senza il nostro avallo – dice Franzini -. La Burgo ha chiesto di cambiare tipo di cassa integrazione per tenere aperto il tavolo al ministero dello sviluppo economico sulla riduzione dei costi dell’energia, quello che incide maggiormente sui costi di produzione».

C’è  poca fiducia negli operai riguardo alla ripresa delle attività. «Con il costo della carta sceso da 490 a 450 euro a tonnellata, se dovessimo lavorare ancora un anno accumuleremmo perdite per 6 milioni di euro che si andrebbero ad aggiungere ai 14-15 dell’anno scorso. La fabbrica, quindi, resterà chiusa, non ci sono prospettive». La mobilitazione degli operai dopo la chiusura dello stabilimento della cartiera si è intensificata. All’esterno del complesso le bandiere dell’azienda sono state sostituite da quelle del sindacato, mentre i lavoratori hanno indetto un presidio permanente.

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