Partiamo dai dati. Lo scorso 3 settembre il Prezzo Unico Nazionale (PUN), cioè il prezzo di riferimento dell’energia elettrica rilevato sulla borsa elettrica italiana, ha superato quota 145 € (euro) a MWh (Megawatt-ora).
Un valore da confrontare con il PUN medio del 2020 che è stato di 38 €/MWh e quello più “normale” del 2019 attestato a 52 €/MWh.
Teniamo presente che persino l’annus horribilis per l’energia in Italia, il 2008, ha avuto un PUN medio più contenuto, 87 €/MWh, con picchi massimi di 120 €/MWh.
Insomma, il 2021 si prefigura come un anno terribile per i costi energetici, ma pare che imprenditori e gente comune non si rendano ancora conto della brutta sorpresa che arriverà sulla testa a tutti quando a fine settembre si ricalcoleranno le tariffe in bolletta (in base al costo medio dei tre mesi precedenti): in base ad una stima approssimativa si parla di un aumento possibile di circa il 30%.
Questa relativa indifferenza può dipendere dal fatto che l’energia pesa meno di un tempo sul costo finale del prodotto o perché l’economia “tira” e per ora non ci si bada o forse perché stavolta non c’è molta disparità in Europa a squilibrare la competitività economica. Mal comune mezzo gaudio?
Forse un fattore di spiegazione è che molte aziende, previdentemente, durante il periodo di basso costo dell’energia del 2020, hanno fatto contratti per la fornitura elettrica a prezzi bloccati della durata di qualche anno, e ora tirano un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.
Ma perché ci si trova in questa situazione per certi versi senza precedenti?
La causa principale sono i prezzi di gas e carbone ai massimi storici, con il primo quadruplicato dall’anno scorso e quasi triplicato da primavera.
Le ragioni di questo incremento choc, sono il rimbalzo improvviso post pandemia dell’economia mondiale, e specialmente di quella asiatica, dopo che il rallentamento del 2020 ha creato disservizi e colli di bottiglia nel sistema di logistica globale. La domanda di gas liquefatto, quello che fa il prezzo sui mercati, è quindi molto alta, ma i fornitori hanno grossi problemi a soddisfarla, così c’è una forte competizione per accaparrarsi le partite di gas, cosa che fa schizzare in alto i prezzi
Inoltre la primavera in Europa è stata fredda, con consumi elevati che hanno svuotato le riserve, che si stanno ripristinando adesso, aumentando ulteriormente i consumi.
A questo si aggiunga, nel caso europeo, un calo delle forniture di metano dalla Russia, che secondo alcuni dipenderebbe da problemi tecnici, e secondo altri da una, non troppo velata, volontà di Putin, di mostrare all’Europa quanto dipenda dal gas russo, in vista della controversa attivazione del nuovo gasdotto Nordstream, che collegherà direttamente Russia e Germania, bypassando l’Ucraina, e togliendo a questa nazione una delle sue poche armi per resistere all’espansionismo di Mosca.
C’è poi un altro aspetto molto importante legato al complicato sistema di mercato delle emissioni di CO2, che merita un approfondimento a parte ma che in sostanza comporta in Europa l’uscita dal mercato del carbone a vantaggio del gas aumentandone ancora domanda e prezzo.
L’influenza delle due cause sul costo stellare del PUN è di circa l’80% per il prezzo del metano e del 20% per quello della CO2.
Cosa emerge da questi dati? Una scelta strategica errata.
L’Europa ha puntato in modo preponderante (esagerato?) sul gas e non in modo deciso sulle fonti rinnovabili quali eolico e solare. Ciò ci ha reso troppo dipendenti dal gas e cacciato in questo guaio.
Purtroppo il caos logistico e l’alta richiesta di gas probabilmente andranno avanti ancora uno o due anni, al netto di altri choc come la pandemia. I prezzi quindi resteranno alti, anche se non ai picchi attuali. Si pensa che caleranno dopo che si saranno ripristinate le riserve, sperando in un inverno e primavera non troppo rigidi.
Questo contesto a tinte fosche, tuttavia, è ideale per l’installazione delle energie rinnovabili. Il differenziale fra PUN e prezzo medio del loro kWh è adesso amplissimo, consentendo ritorni dell’investimento molto brevi.
Il PUN alle stelle, insomma, rende super conveniente utilizzare ogni tecnologia che aumenti l’efficienza energetica, dei processi di lavorazione nel caso industriale, di elettrodomestici e illuminazione in quello domestico, oltre che, naturalmente installare sul tetto di case e capannoni energia solare per l’autoconsumo, pensare a comunità energetiche rinnovabili. E valutare caso per caso, persino l’installazione di batterie.
Per le imprese sarebbe anche il momento ideale per fare contratti di acquisto esclusivo dell’energia prodotta da grandi impianti a rinnovabili, i cosiddetti PPA .
Ma tali prospettive auspicabili devono fare i conti con alcuni ostacoli.
In Italia permane il problema (noto a tutti gli addetti ai lavori) della normativa farraginosa e la presenza di troppi enti a decidere su queste questioni, situazione che scoraggia quasi tutti dal provare a costruire impianti solari ed eolici, soprattutto di grande taglia
La situazione attuale, quindi, e il momento storico che stiamo vivendo post pandemia, offrono una opportunità unica per rilanciare l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e l’auspicio è che anche la politica se ne accorga, ne prenda consapevolezza e agisca in fretta superando la tentazione dei facili e banali proclami sulla transizione energetica.
L’approfondimento proposto trae spunto da una fonte interessante: l’intervista integrale ad Andrea Marchisio, economista dell’energia, della società di consulenza Elemens, pubblicata sulla rivista online QualEnergia.