Basta conflitti, affrontiamo insieme le emergenze

Intervista a Daniela Rossi, docente di una scuola privata: reagiamo alle difficoltà, non ha senso scoraggiarsi
A che serve la scuola?

«Vorrei che si cominciasse a parlare di scuola in modo serio e approfondito. Vorrei che tutti facessimo lo sforzo di uscire dalla logica delle contrapposizioni e cominciassimo a porci con umiltà di fronte ad un problema che è ormai da troppi anni un’emergenza e che si presenta come una realtà complessa e variegata che coinvolge gli adulti in generale nel loro confronto con i più giovani». Daniela Rossi è un’insegnante. «Insegno da 26 anni nella scuola paritaria cattolica. Per 15 anni – spiega – ho svolto un incarico di dirigenza. Ho insegnato solo per due anni, all’inizio della carriera, nella scuola di stato. I termini che uso hanno un senso. Non parlo di scuola pubblica contrapposta alla scuola privata. E non ne parlo perché queste definizioni sono fuorvianti».

 

Professoressa Rossi, che ne pensa delle dichiarazioni di Berlusconi e Bagnasco e, più in generale, della recente discussione su insegnanti e scuola pubblica?

«Non vorrei entrare nel merito delle dichiarazioni apparse sui mass media. Le parole del nostro primo ministro sono state espresse all’interno di un discorso di tipo propagandistico, sarebbe utile conoscere più approfonditamente il pensiero di Berlusconi in merito alla scuola. Le precisazione di mons. Bagnasco sono puntuali ed evidenziano la posizione della chiesa italiana riguardo al tema della scuola che è inscidibile dal tema educativo».

Si parla di docenti e di ideologia trasmessa agli alunni. Qual è la sua esperienza?

«La scuola non può che essere che servizio pubblico in tutte le sue espressioni. La differenziazioni sono diverse solo in merito alla gestione dei singoli istituti. Lo Stato attraverso la “paritarietà” garantisce che ogni Ente svolga un esercizio di servizio pubblico. Fatta questa precisazione, ritengo che non si possa generalizzare. I docenti in ogni scuola sono un patrimonio fondamentale. Dipende da loro nella stragrande maggioranza dei casi il successo o l’insuccesso degli alunni. Il ruolo del docente che a me piace definire educatore, non può prescindere dal rispetto degli alunni e nel rispetto non ci può essere nessuna forma di manipolazione. Detto questo non mi nascondo che a volte alcuni di noi possano in qualche modo esercitare delle forzature. In nome di una presunta verità ci si arroga il diritto di imporre la propria idea e impedire ai discenti di crescere in un esercizio critico che li porti a formarsi idee personali. E questo può accadere in ogni realtà scolastica. Ho conosciuto tantissimi professori, tanti miei ex alunni lo sono diventati, e ogni volta vedo che i “buoni professori” sono quelli che intraprendono questa professione con umiltà, certi che il loro compito è solo quello di “tirar fuori” e non di “mettere dentro”».

 

Com’è, dal suo punto di vista, la situazione della scuola oggi?

«Oggi la scuola è lo specchio più impietoso della nostra società. In un mondo che sembra ormai aver smarrito ogni riferimento, il luogo dove dovrebbero formarsi gli uomini del domani rischia di essere il luogo del non senso. Nella scuola troviamo di tutto, i docenti si trovano addosso problematiche che in altri tempi avrebbero dovuto essere affrontate da altre figure professionali (psicologi, medici, assistenti sociali…). La tentazione è quella di sentirsi impotenti e lasciarsi andare ad atteggiamenti che non sono adatti ad entrare in comunicazione con i giovani. C’è chi si trincera dietro alla disciplina come fosse uno scudo, chi si esprime in una continua “sindacalizzazione” alla ricerca di una visibilità sociale, chi pensa che le nuove tecnologie siano la panacea. Ritengo che il ruolo del docente sia in profonda trasformazione e in continua ricerca. È una sfida che si può vincere solo se si ritornerà a confrontarsi con la realtà e con la deontologia di una “professione” che non può prescindere da un forte afflato ideale che ci proietta verso un domani che si costruisce nell’oggi».

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