Barriere, ponti e fraternità

 

«Chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca l’alterità». È un passaggio dell’enciclica Fratelli tutti (n. 26). I più adulti ricorderanno l’euforia che accompagnò la caduta del muro di Berlino nel 1989 e il senso di libertà e fratellanza percepito ovunque. Mai più muri, tutti pensavamo.

Eppure, se a quel tempo erano una quindicina le barriere fisiche nel mondo, oggi ce ne sono più di 70. E non solo in Africa, o al confine tra Stati Uniti e Messico. Anche in Europa: tra Ungheria, Serbia e Croazia, tra Austria e Slovenia, tra Norvegia e Russia, a Calais per frenare il flusso di migranti.

Quando alzi un muro, pensa a ciò che lasci fuori, scriveva Calvino. E questo vale tanto per i muri fisici – che costruiamo per difenderci e che alla fine, come scrive papa Francesco, ci imprigionano –, quanto per quelli che erigiamo con le parole. Ogni volta che incitiamo allo schieramento, di qua o di là, da che parte stai… o premiamo l’acceleratore della contrapposizione che scava fossati profondi, stiamo alimentando la logica del muro, che alla fine ci rende schiavi.

Ciò che ci libera è invece quel senso di fraternità nonostante le differenze (ma i fratelli sono sempre diversi!) che rende gli altri due ideali della modernità, uguaglianza e libertà, capaci di non rovesciarsi nel loro contrario: un’uguaglianza che diventa omologazione o proliferare di disuguaglianze, e una libertà che diventa volontà di potenza e prevaricazione del forte sul debole. Non dobbiamo costruire la fraternità, siamo già fratelli, dobbiamo solo ricordarcelo. La fraternità non è scelta, non si fabbrica. Si è fratelli in quanto generati, e tutti lo siamo.

Romano Guardini scriveva che la vita umana è paradossale, e la fraternità è il segno vivente di questo paradosso: singolarità e comunità, diversità e appartenenza, relazioni non scelte eppure massimamente nostre, unità nell’amore sempre a rischio di pervertirsi (non dimentichiamo Caino) e quindi fragile, da custodire. La fraternità è il luogo paradossale dell’alterità che ci costituisce intimamente. Un altro che non è aliud (nemico, alieno, minaccia), ma alter (l’altro che mi aiuta a essere chi sono, nella reciprocità).

Dalla paura dell’alterità nascono tanto la brutalità dei fondamentalismi quanto la prevaricazione del “neutro”, oltre che un malinteso senso di identità. «Se sei diverso da me, fratello, lungi dall’offendermi, tu mi arricchisci», scriveva Antoine de Saint-Éxupéry.
La fraternità è ciò che ci permetterà di curare questo mondo ferito da pandemia, guerre, disuguaglianze. Che accenderà il desiderio di smontare i muri e costruire ponti fatti di pietre, ma anche di parole e gesti, che guariscano prima di tutto l’umano che è in ciascuno di noi.

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