Ascoltando il suo cuore coraggioso

Quando si mettono i valori al centro del proprio lavoro. Intervista a Randall Wallace, regista di Secretariat e del pluripremiato Braveheart
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«Strepitando, fremendo divora lo spazio, e al suono della tromba più non si tiene». Con queste parole del profeta Giobbe, accompagnate dall’immagine di un cavallo al galoppo, il regista Randall Wallace apre Secretariat, il suo ultimo film. «Ciò che più mi è piaciuto di questa storia – afferma – è che è successa quando tutto nel mondo sembrava andare nella direzione sbagliata: la guerra in Vietnam, l’assassinio di grandi uomini, la mancanza di fiducia nei leader politici. Poi è arrivato questo cavallo incorruttibile, una fonte di ispirazione che ha unito persone di ogni genere in un’unica tifoseria. Una storia di gioia allo stato puro».

 

Pochi registi a Hollywood possono fregiarsi di un curriculum come quello di Wallace. Ha studiato teologia in seminario e ha sentito sin dall’inizio il suo lavoro di scrittore, regista e compositore come una chiamata: «Non ho studiato teologia per sapere se c’è una vita dopo la morte – afferma Wallace – ma per scoprire la vita dopo la nascita. La storia e i grandi pensatori hanno indubbiamente un grande fascino, ma la fede è qualcosa da trovare e vivere in prima persona. Così per me il cinema è stato l’espressione della mia chiamata. Mi sono sentito in colpa nel lasciare i miei amici che avrebbero portato conforto ai malati o dato da mangiare agli affamati, ma hanno ribattuto che i miei film avrebbero nutrito lo spirito».
 

Abbiamo incontrato Wallace mentre era occupato a fare ciò che ama: condividere la sua arte con giovani registi, allievi del master in sceneggiatura all’Università del sacro Cuore di Milano. Ma quali sono state le sue più grandi fonti di ispirazione? «Quando ero giovane ho visto Un uomo per tutte le stagioni, la biografia di Tommaso Moro. Mi ha dato la prova che fare film è un lavoro di grande valore. In questo film c’è un uomo che ritiene che la vita in quanto tale sia qualcosa di più della vita fisica, e si può trovare un concetto simile in Braveheart: il protagonista crede che sacrificare la sua vita terrena significhi essere più vivo, non perderla».
 

Tema ricorrente nelle opere di Wallace è quello del perdono: «Dobbiamo accettare di essere imperfetti per accettare le imperfezioni degli altri – spiega – e questa è la base del perdono, la grande sfida della mia vita».

 

«Credo nella disciplina, l’etica “del guerriero”, per cui i personaggi di cui scrivo si trovano sempre a combattere contro gli stessi mostri che combatto io nella mia vita. I grandi momenti di cinema sono quelli in cui lo spettatore può entrare nei panni del personaggio, vedere che, quando la battaglia è nel vivo e l’esito è incerto, si svela il miracolo del perdono e della fiducia, l’essenza della natura umana».

 

Wallace è conosciuto come uno che va contro la cultura dominante di Hollywood. Nel 1999 ha fondato la sua società di produzione, che mette i valori e la comunicazione di messaggi significativi davanti al profitto. Cosa l’ha spinto a correre questo rischio? «Credo che questi valori siano, in fin dei conti, gli stessi degli spettatori, perché amore e verità sono universali: l’ho constatato con sorpresa nello scrivere le mie sceneggiature. Forse, uno dei più grandi errori di Hollywood è proprio lo scarso rispetto per l’audience».

 

Wallace si sente al suo agio nel lavorare con le maggiori celebrità hollywoodiane: in Secretariat, ad esempio, recitano Diane Lane e John Malkovich. Ma, al di là di chi c’è davanti alla telecamera, il regista si impegna per creare una vera famiglia sul set. «Il primo giorno delle riprese di Secretariat ho riunito tutti gli interpreti e detto loro che il film non sarebbe mai stato come lo volevo io a meno che non l’avessero voluto anche loro. Il lavoro di un regista è coinvolgere lo spettatore, ma prima devi coinvolgere te stesso, il cast e il resto della squadra».

 

«Avevamo un budget limitato per questo film, tanto che alloggiavo in un piccolo motel insieme al personale e lavavo la biancheria alla lavanderia automatica. Ma è un bene per lo staff sentire che il regista è uno di loro. Creare uno spirito di squadra è una grande opportunità, ma anche una grande responsabilità».
 

Dopo i cinque Oscar di Braveheart Wallace si è trovato assediato da tanti cercatori di un “posto al sole” nel mondo del cinema, ma dice di non essersi mai sentito così solo: «Mi sono reso conto per la prima volta che il successo e i soldi possono essere più pericolosi del fallimento. Avevo bisogno di qualcosa che nutrisse il mio spirito». Nel 2000 ha fondato Habitat for Humanity, un’associazione che riunisce attori, sceneggiatori, compositori e registi che aiutano a costruire abitazioni per bisognosi negli Stati Uniti e all’estero. «Vi sporcherete le mani, ma vi pulirete il cuore».

 

Che stia costruendo una casa, scrivendo una sceneggiatura o dirigendo un film, la vita di Wallace è sempre in movimento, spinta da una creatività radicata nella fede. Una vita in cui «ci sono molti partecipanti, e il risultato finale è più grande del singolo».

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